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Tag: cinema

“Sound Of Freedom”

“Tra ipocrisie, censure, faccia tosta e stupidità”

Ho appena visto il tanto chiaccherato “Sound Of Freedom” il film indipendente tra i cui molteplici produttori figura anche Mel Gibson, interpretato da Jim Caviezel e centrato sul traffico di minori e bambini utilizzati come schiavi sessuali.
Prima di parlare di questo film però, devo dire che sono rimasto piuttosto colpito dalla rabbia, sfociata in autentica idiozia da parte della critica e dei giornali, che si è abbattuta su una pellicola tutto sommato indipendente a basso budget che non ha goduto di una grossa distribuzione e che non è manco finita nei maggiori canali di streaming come Netflix, Amazon Prime e Disney Channel.


Dico che mi ha colpito perché nel caso dello scandalo per il film “Mignonnes” (Cuties 2020) che è partito dall’indignazione del pubblico per una pellicola che ammicca alla pedofilia esibendo in modo estremamente ambiguo la sessualità di ragazzine undicenni e che a fronte di un movimento spontaneo ha fatto perdere migliaia di abbonamenti a Netflix. Si è verificata una levata di scudi da parte della stampa e della critica per difendere questo prodotto e tesserne le lodi di critica sociale (ne parlo ampiamente nel mio libro Sub Limen 2 il lato oscuro di Hollywood).

https://www.amazon.it/SUB-LIMEN-OSCURO-HOLLYWOOD-Conquista/dp/B0CH2B1KZH/


Per Sound Of Freedom invece, una pellicola che denuncia apertamente il traffico e lo sfruttamento sessuale di minori, è accaduto esattamente il contrario: il pubblico lo ha sostenuto al punto da trasformarlo nel maggiore successo del 2023 in grado di scavalcare al botteghino blockbuster ad ampissima distribuzione e diffusione come Mission Impossible e Indiana Jones; mentre la critica e i giornalisti si sono premurati di distruggere la pellicola prendendosela non soltanto con il film,
l’attore e il regista, ma pure con il pubblico che è andato a vederlo. Onestamente non avevo mai assistito a un tale attacco in cui si prende di mezzo pure lo spettatore.


Ecco un esempio tutto Italiano, Matteo Regoli , critico cinematografico (si definisce così), esordisce in questo modo:


“…Qualche giorno fa vi parlavamo del clamoroso successo ottenuto da Sound of Freedom, film con protagonista il controverso attore Jim Caviezel e rivolto in larga parte ad un pubblico di cospirazionisti di estrema destra che sta facendo registrare incassi epocali al box office USA…”1


Ma anche in America il tono è lo stesso, il guardian ad esempio, in alcune recensioni, ne parla così:

“…Sostenuto dai cospirazionisti di QAnon, questo thriller ben intenzionato sul traffico sessuale di minori è volgare e pieno di pantomime criminali…” 2


“…Jim Caviezel interpreta il vero attivista Tim Ballard in un film noioso che è diventato un successo al botteghino americano…” 3


In una critica si arriva addirittura a negare che esista il problema del traffico di minori:


“…Si dice che la rappresentazione complessiva delle operazioni globali di schiavi sessuali infantili non sia realistica. Il film fa sembrare che siano comuni operazioni di rapimento di grandi dimensioni che forniscono bambini da utilizzare per la pornografia e gli schiavi del sesso. La verità è che di tutti i bambini rapiti nel mondo, quelli rapiti da sconosciuti sono meno dell’1% …

…Sfortunatamente questa storia gioca anche con alcune popolari storie di cospirazione di Qanon…”4


La critica prosegue poi in una critica politica a Trump e alla storia del pizzagate che con il film non ha alcuna attinenza.
Se poi diamo un’occhiata alle critiche ufficiali apparse su Rotten Tomatoes, troviamo sempre commenti simili:


“..È una storia bella e avvincente, ma è vero? Dopo un lungo controllo dei fatti, ho scoperto che gran parte della storia non è vera e che l’eroe è significativamente diverso nella realtà da come è rappresentato nel film. La puzza di QAnon pervade questo film…”


Da notare che leggendo la critica per intero, si scopre che il lungo controllo dei fatti a cui accenna, è una visita alla pagina di wikipedia.


Finora ho accennato soltanto alle critiche cinematografiche, ma è pazzesca la serie di polemiche che si è innescata su questo film che doveva uscire nel 2018 con la 20th Century Fox. Ma poi, dopo che la Disney ha acquistato il colosso della distribuzione, la pellicola è finita stranamente in cantina ad ammuffire e ci sono voluti 5 anni di litigi per fare in modo che i produttori tornassero in possesso
dei diritti per avere così la possibilità di farlo distribuire.


Controllando sulle liste di Amazon Prime, Netflix, Disney Channel, HBO, il film non risulta disponibile per la visione in streaming.
Uno dei produttori, Eduardo Verástegui, ha recentemente rivelato che aziende come Netflix e Amazon lo hanno rifiutato quando si è rivolto a loro per parlare di distribuzione, e alcuni “non hanno nemmeno risposto alle mie telefonate”. 5
Queste aziende però, interpellate per chiarimenti hanno negato di aver rifiutato il film e asseriscono di non aver mai ricevuto offerte in tal senso.


Quando poi è intervenuta la casa di produzione “Angel” di matrice cattolica, con un’interessante operazione di marketing è riuscita a far vedere il film che ha circolato pochissimo per le sale, fino a trasformarlo in uno dei maggiori incassi grazie al passaparola.


In molti articoli poi, si parla anche di Tim Ballard, il vero poliziotto interpretato dall’attore Caviezel, insinuando che non sia un eroe ma che sia stato accusato di condotta sessuale moralmente discutibile per certe frasi ambigue che avrebbe rivolto alle segretarie dell’associazione che ha messo in piedi per salvare i bambini6

Osservando questa gigantesca macchina del fango che si è attivata per un film, mi viene da pensare che un nervo scoperto è stato non solo toccato, ma probabilmente martellato con violenza e ripeto, ciò che più mi colpisce è che si tratta di un film dove si parla di bambini innocenti che vengono abusati; una tematica che dovrebbe mettere daccordo tutti e sopratutto una stampa molto attenta a non esporsi troppo e parandosi sempre e ipocritamente dietro al buonismo, ai diritti, etc. etc. etc.


Ho comunque visionato questa pellicola e posso dire che non la ho trovata noiosa; soltanto profondamente inquietante. Non c’è nessuna sequenza grafica di violenza esplicita. Il regista a mio

avviso è molto abile a non calcare la mano ma a rendere semplicemente evidente che cosa può significare il rapimento di un bambino. Ogni genitore non può non pensare ai suoi figli e anche chi non ne ha, è costretto a riflettere.
Forse non è un film perfetto, ma di certo è un atto doveroso che rompe un tabù e che per quanto faccia male e metta a disagio, va visto almeno una volta.


Approfondendo la storia di questo film mi è venuta una riflessione: forse, una volta tanto, una finestra di Overton è stata aperta per una buona causa… Probabilmente è questo che ha fatto schiumare di rabbia così tanta gente… Non penso siano tutti in malafede, ma di certo sono in tanti a non voler sentire queste storie perché ti costringono a riprenderti la tua responsabilità individuale, e questo fa certamente paura.

  1. https://cinema.everyeye.it/notizie/sound-of-freedom-netflix-disney-amazon-scartarono-film-complottista-jim-cavaziel-661364.html ↩︎
  2. https://www.theguardian.com/film/2023/sep/03/sound-of-freedom-review-manipulative-take-on-a-harrowing-topic ↩︎
  3. https://www.theguardian.com/film/2023/aug/30/sound-of-freedom-review-anti-child-trafficking-thriller-that-plays-to-the-qanon-crowd ↩︎
  4. http://www.lariat.org/AtTheMovies/new/soundfree.html ↩︎
  5. https://www.newsweek.com/sound-freedom-amazon-netflix- conspiracy-1822981 ↩︎
  6. https://www.newsweek.com/tim-ballard-sexual-misconduct-allegations-sound-summer-utah-senate-1828086 ↩︎

Nuove manipolazioni in arrivo

Nei libri Sub Limen (la tua vita è un inganno) e Sub Limen 2 (il lato oscuro di Hollywood) parlo della programmazione predittiva; si tratta in breve di una tecnica adottata dalla moderna propaganda per preparare il popolo ad eventi futuri.

E’ in tutto e per tutto una tecnica di manipolazione mentale perchè le informazioni vengono rilasciate generalmente attraverso l’intrattenimento (cinema/videogiochi/tv/musica) con prodotti in grado di creare un forte impatto emotivo che porterà il soggetto a metabolizzare nuove associazioni di idee e a formarsi delle opinioni oltre che, rimanere completamente annichilito dal carattere profetico di un film, un libro etc. Nel momento in cui vede realizzarsi ciò che sembrava semplicemente finzione. E’ una sensazione tesa a far sentire un senso di impotenza e di mancanza di controllo portando a credere che questi eventi appartengano a un qualcosa di inevitabile e molto più grande di noi. Si tratta di fatto di una vera e propria azione di guerra psicologica per assoggettare le menti e indirizzare opinioni e pensieri nella direzione voluta dall’artefice di queste operazioni.

Nei libri porto alcuni esempi che generalmente vengono scoperti a posteriori, cioè dopo che l’evento di cui si parla si è verificato. Ma qui voglio parlarvi di un’operazione che è in corso in questo momento; sono da poco usciti due nuovi film e un terzo è in arrivo, che sembrano infatti essere in tutto e per tutto prodotti di propaganda studiati appositamente per creare un grosso impatto emotivo nel pubblico e prepararlo a eventi che potrebbero accadere addirittura prima delle elezioni americane che sono molto vicine.

Sto parlando del film di Sam Esmail (il creatore di Mr. Robot) con Julia Roberts: “Il mondo dietro di te” (2023) in cui si ipotizza un attacco informatico militare che provoca un black out totale gettando l’America nel panico.

Questo il trailer del film

La produzione è Netflix e magari sarà un caso ma sappiamo che l’ex presidente Obama è tra i finanziatori della piattaforma.

Il secondo film si intitola: “I.S.S.” di Gabriela Cowperthwaite in cui gli astronauti dalla stazione spaziale I.S.S. assistono a una improvvisa guerra termonucleare tra Russia e America

Questo il Trailer

E infine abbiamo: “Civil War” di Alex Garland in cui viene mostrato l’inizio di una nuova guerra civile in America.

Queste tre pellicole sembrano collegate da eventi catastrofici (guerra civile, black out e attacco informatico, guerra nucleare) di cui si parla anche in rete e su alcuni social da qualche tempo e che sono stati annunciati a più riprese da vari personaggi appartenenti alla politica o ai cosìdetti esperti di turno che oltre alle nuove pandemie, hanno annunciato appunto la possibilità di una guerra (è di pochi giorni fa la notizia che il ministro della difese svedese ha dichiarato che bisogna prepararsi alla guerra), addirittura molti parlano di un possibile attacco informatico da parte dei Russi e anche la guerra civile serpeggia tra i pericoli che ci aspettano.

Il Trailer di Civil War

La strategia della tensione è anche questa; rilasciare prodotti che incarnano le paure di questi tempi e sarà certamente interessante analizzare le trame di questi film per capire quali sono i concetti, le idee e i valori che vengono veicolati attraverso queste pellicole.

Una piccola curiosità:

Nel film “Il mondo dietro di te”, i due ragazzi della famiglia che si trova coinvolta in questi tragici eventi dovuti all’attacco di hacker misteriosi, indossano a un certo punto delle magliette; su una sta scritto “OBEY” e sull’altra: “NASA”. In una particolare inquadratura, vengono ripresi assieme in modo da formare la scritta: “OBEY NASA”

E se per caso non ve ne foste accorti, nel fermo immagine di Civil War che potete vedere qui sopra, il cecchino ha le unghie dipinte di rosa e una dipinta di verde… E’ un militare gender fluid?

Occhio alle manipolazioni.

Crepuscolo rosso in un mondo grigio

Electra Glide (Electra glide in blue – 1973)

  • genere: Drammatico
  • regia: James William Guercio
  • interpreti: Robert Blake, Billy Green Bush, Mitch Ryan, Jeannine Riley, Elisha Cook Jr
  • produzione: United Artists
  • giudizio: Imperdibile

In due parole

Se amate Bruce Willis e i superpoliziotti eroici dal machismo esasperato, questo film non fa per voi

Recensione

James William Guercio non è un regista (cioè, tecnicamente lo è dopo questo film anche se rappresenta a tutt’oggi l’unica opera da lui realizzata), e di certo è ben più famoso e conosciuto per essere lo storico produttore di uno dei gruppi musicali più eclettici e incisivi che l’america ha prodotto: i “Chicago” (quelli di: If you leave me now il loro pezzo più famoso anche se non di certo il migliore).

Guercio realizzò questo piccolo capolavoro nel 1973, quando aveva soltanto 27 anni e ne produsse anche la colonna sonora affidata ai già noti Chicago. Ciò che colpisce immediatamente del giovane regista è la sua padronanza del mezzo cinematografico; non si notano segni di immaturità registica ma soltanzo la piena consapevolezza del messaggio da trasmettere e del modo in cui farlo. Qualche neocritico da battagtlia potrebbe definirlo “manieristico” per la ricerca della finezza nell’inquadratura del dettaglio o per i “rallenty” presenti nelle poche sequenza d’azione; ma la verità è che la splendida fotografia di Conrad L. Hall è di fatto la narrazione e il messaggio assieme alla storia, i dialoghi e la recitazione.

Si è detto molto di questo film oggi praticamente dimenticato perchè quasi mai riproposto in TV che fu accolto a Cannes da uno strepitoso successo di pubblico e critica anche se non vinse la palma d’oro; aveva molte cose da dire allora e ne ha molte da dire anche oggi, specialmente a una generazione giovane e completamente assuefatta da banalità seriali “horror-ifiche” e “telenovela-tiche” la cui maggior espressione (se vogliamo considerare l’enorme successo al botteghino) è rappresentata da scatoloni vuoti e imbarazzanti come Twilight.

Qualcuno potrebbe dire: “Basta, ne abbiamo piene le scatole di film sulla fine dei sogni, sulla morte delle illusioni, sul beffardo e tragico senso dell’umorismo di questa vita carogna.” Ma ragazzi miei, a saperli fare così i film, a saperle dire così queste cose, senza trasmettere soltanto sterili e cinici imput che ti fanno uscire dal cinema depresso con il dubbio di aver buttato i soldi (caratteristica di molti presunti film “seri” odierni) dato che ci eri entrato per passare due ore lontano dalla quotidianità: ma facendoti invece riflettere, dandoti lubrificante per il cervello, perchè sei un uomo, non un manichino che deve soltanto spendere in cambio di un indottrinamento al pensiero piatto.

Ed ecco che la parabola di vita del poliziotto John Wintergreen a bordo della sua moto “Electra Glide” nelle sterminate e solitarie strade della Monument Valley non racconta soltanto il microcosmo di un uomo ma anche il macrocosmo di una nazione; prevedendone la deriva feroce e autoritaria che avrebbe sconfitto un sogno romantico di libertà.

Un film che mostra l’alienazione attualissima di una società alla deriva; come il collega e miglior amico di Wintergreen, quello Zipper, la cui massima aspirazione di vita consiste nel potersi comperare una Electra Glide in Blue, versione civile della moto che usa tutti i giorni durante gli interminabili turni di servizio.

Ma non vogliamo raccontarvi nulla di questo film, perchè finalmente qualcuno ha deciso di farlo uscire in DVD; e allora fatevi un favore, andate a prenderlo e riscoprite il gusto del cinema “che fa pensare”.

“La solitudine ti ammazza più di una 357 magnum”(John Wintergreen)

“Ti fai una bella vita sulla tua moto: tu fai le tue ore, poi smonti e ti sei guadagnato il pane. Cosa c’è di più semplice?” (Zipper)

Locke (id – 2013)

  • genere: Drammatico
  • regia: Steven Knight
  • interpreti: Tom Hardy, Olivia Colman, Ruth Wilson, Andrew Scott, Tom Holland
  • produzione: IM Global
  • giudizio: Imperdibile

In due parole

Potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravivaci… Ma noi siamo cinema, non rincoglionimento. Ecco una lezione da sbattere in faccia a tanti… Ma non solo… C’è perfino di più…

Recensione

E’ possibile realizzare un film che regga 89 minuti con un singolo attore e in una singola location (l’abitacolo di un’auto)?

Con una sceneggiatura solida, un attore di talento e un regista non meno bravo si; e finalmente si parla di cinema con le maiuscole.

C’è molta carne al fuoco in questa pellicola ma andiamo con ordine:

Locke è un uomo di successo, ha raggiunto una solida posizione professionale e una soddisfacente vita privata con una famiglia stabile. Alla vigilia della più grande sfida della sua carriera, una telefonata provocherà il crollo di un’intera esistenza. La tragedia di un uomo vissuta in tempo reale nell’arco di una notte in cui il suo universo inizia ad andare in pezzi durante un viaggio.

Il film è letteralmente un “One Man Show”, basato sulla straordinaria performance di Tom Hardy (l’anonimo Bane del terzo Batman di Nolan) che riesce a fornire una prova attoriale che definire magnifica è un eufemismo (il resto del cast sono voci al telefono); l’attore ha il pieno controllo della sua interpretazione, gioca di sottrazione, smorza le reazioni emotive e trasmette con incredibile efficacia tutto ciò che l’universo rappresentato da un essere umano sta subendo su molteplici livelli.

Nonostante le limitazioni pesantissime di movimento e quindi fisicità , la vicenda si svolge interamente alla guida di un’auto attraverso una serie di telefonate al cellulare, non c’è un’inquadratura di Hardy che non regga la scena. La sceneggiatura costruita con grande sapienza, una regia attenta, studiata minuziosamente nelle angolature e l’eccellenza interpretatriva di questo straordinario attore tengono incollati allo schermo per tutta la durata del film.

Tecnicamente, a voler essere pignoli, qualche forzatura c’è: i momenti in cui Locke dialoga allo specchietto retrovisore con la presenza immaginaria del defunto padre, necessari per comprendere il passato e le motivazioni dell’uomo, assumono un registro “teatrale” che può suonare un pò stonato nel contesto degli altri eventi. Ma sono appunto pignolerie, ce ne fossero in abbondanza di film con questi difetti e avremmo risolto il problema di tanto piattume.

Locke quindi è un film che funziona sotto molteplici aspetti: registico, tecnico, narrativo e attoriale; dimostrando che non servono grandi finanziamenti per realizzare un prodotto elitario che vola a quote più alte di molti colleghi anche autorevoli, ma è anche molto più di questo come dicevo in apertura.

Non si tratta di un puro esercizio di stile perchè altrimenti si sarebbe scaduti nel manierismo. Oltre a tutto ciò di cui ho parlato, c’è la volontà di trasmettere un concetto assai profondo che però, almeno a livello razionale, è sfuggito alla maggior parte della critica che pure ha lodato il film limitandosi però agli aspetti da me già citati.

Sto parlando di ciò che emerge e che rimane alla fine di questa storia. Un concetto che appartiene probabilmente della volontà del regista Steven Knight; il quale riesce a trasmettere una profonda lezione morale senza scadere nel moralismo d’accatto, evitando accuratamente le trappole degli stereotipi narrativi e dei predicozzi pedagogici ed esplicativi per il pubblico “semplice”.

Locke infatti, e questa mi sembra la cosa più rilevante che giganteggia su tutto il resto, è un film che parla della necessità, oggi, di recuperare ognuno il senso della responsabilità. Parla della fondamentale importanza di assumersi il peso delle proprie scelte e dei propri errori; di capire le implicazioni delle proprie azioni. In quest’epoca dove la cultura della “delega” ci è stata inoculata fin dalle fondamenta per endovenosa in ogni aspetto della nostra vita compresa la cura dei nostri figli, Locke è un rarissimo esempio di cinema che lancia un messaggio importante perchè non annacquato da ideologie che siano dirette, trasversali o distorte.

Locke è un film etico e morale senza scadere come abbiamo detto nel moralismo, è avvincente come un thriller e non offre risposte facili o ricette pronte per nessuno. Locke è un uomo consapevole del proprio passato che decide di fare la cosa giusta anche se questo significa disintegrare la sua vita. Ma lo fa perchè è consapevole che altrimenti la disintegrazione riguarderebbe la sua anima obbligandolo a vivere in un nuovo universo di menzogne e opportunismo, non meno distruttivo e sicuramente più orrendo di ciò a cui sta andando incontro.

Si tratta di un film che va ripescato e rivalutato anche alla luce di quello che è successo negli ultimi 3 anni.

Questa la realtà che emerge senza spiegazioni didascaliche, il valore aggiunto del film, e scusate se è poco.

Noi, con un missile nel cervello

VIP mio fratello superuomo (id 1968)

  • genere: Animazione
  • regia: Bruno Bozzetto
  • interpreti: Oreste Lionello, Lydia Simoneschi, Pino Locchi, Corrado Gaipa
  • produzione: Bruno Bozzetto
  • giudizio: Imperdibile

recensione pubblicata originalmente il 11/09/2018

In due parole

Feroce e attualissima satira sui persuasori occulti, i massmedia e il conformismo che appiattisce le coscienze; si ride, e a patto di avere un paio di neuroni funzionanti, si riflette.

Recensione

La violenta sterzata propagandistica del cinema hollywoodiano “in toto” che continua a sfornare ciofeche prive di contenuto ma efficaci nel diffondere il pensiero unico e i nuovi valori della “New Age” schiavista è evidentemente efficace a giudicare dal livello di sottomissione del popolo, che ride in modo ebete di una violenza sempre più efferata e grafica non accorgendosi che gli stanno smantellando tutti quei diritti costituzionali che permetteranno poi di spostare quella violenza dalla virtualità dello schermo al mondo reale.

E’ in realtà già accaduto, dove “l’innocua” moda di videogames (con il mantra: ma è soltanto un gioco) iperviolenti ha talmente anestetizzato le menti che oggi si accetta tranquillamente che dei padri di famiglia possano andare in ufficio e giocare a un videogame che, a tremila chilometri di distanza ammazza la gente per davvero (vedi l’ottimo DRONE di Jason Bourque). Si vede la morte attraverso uno schermo e non si è più in grado di distinguere i pixel dal sangue e dalla sofferenza.

E mentre anche da noi, la maggioranza del popolo si appresta ad accettare con un sorriso trionfale sulla bocca e un “missile nel cervello”, provvedimenti che porteranno la violenza nelle loro case e nelle loro famiglie, può essere utile rispolverare un vecchio film, capace di spingerci a riflettere con un sorriso.

Bruno Bozzetto, personaggio di straordinaria umiltà, realizza: “VIP mio fratello superuomo” nel lontano 1968; subito dopo il successo di un altro suo classico: “West and Soda”; ma a differenza del precedente film dove Bozzetto gioca con la sua passione per il western, qui decide di parodiare un argomento che conosce bene: la pubblicità.

Il suo studio di animazione ha infatti all’attivo molti lavori per il settore pubblicitario ma ciò che esce dal suo lungometraggio va ben oltre la semplice parodia. E’ un’acuta riflessione che a distanza di 50 anni è ancora attualissima; sono presenti tematiche importanti come l’emarginazione dei più deboli, la creazione del consenso da parte dei media e la cancellazione dei diritti dei lavoratori da parte delle multinazionali venduti come “miglioramento delle condizioni” degli stessi. Straordinaria la visita guidata alla fabbrica di Happy Betty e strepitosa la sequenza delle toilette.

Il film è molto divertente, ricco di trovate geniali; ma ci sono momenti in cui il confine tra divertimento e inquietudine si fa sottile come nel bellissimo brano musicale di Franco Godi e Herbert Pagani: “Metti un tigre nel doppio brodo” che attraverso gli slogan pubblicitari dell’epoca rimescolati in un nonsense che palesa tutta l’alienazione del popolo, si avverte la realtà orwelliana della nostra società.

Vip, il superuomo è stato inserito a progetto iniziato per volere dei produttori americani che avevano contribuito a finanziare il film ma Minivip, il fratello senza poteri, è il vero protagonista della storia; è l’antieroe per eccellenza. Un personaggio fantozziano che grazie alla sua umanità e inadeguatezza, risolve le situazioni più difficili.

Pellicole come questa dovrebbero essere preservate e diffuse alle nuove generazioni come antidoto al rincoglionimento di un cinema ormai sempre più stupido e violento anche e sopratutto nella sua versione per ragazzi.

P.S. per chi trovasse difficoltà ad orientarsi tra gli slogan della canzone: “Metti un tigre nel doppiobrodo”, nel video qui sotto trovate gli spot originali per decifrare il brano che potete visualizzare alla fine..

11 settembre: professori cercansi

(Articolo originariamente pubblicato su Luogocomune il 16/3/2014)

Nella serata del 14 marzo si è svolta, grazie alla disponibilità e all’interessamento del responsabile del circuito cinema del Comune di Venezia, Roberto Ellero, la proiezione dell’ultima fatica di Massimo Mazzucco: “11 Settembre la nuova Pearl Harbor”

Un grande e sentito ringraziamento lo rivolgo al già citato Roberto Ellero, a Davide Terrin della sala Pasinetti nella quale è stato proiettato il film, a Giancarlo Ghigi del CZ Giudecca e a tutte le persone che mi hanno aiutato in questo evento.

Questa proiezione è stata preparata con largo anticipo e prevedeva la presenza in sala del regista Massimo Mazzucco, del senatore Felice Casson e del giornalista Tom Bosco, che avevano offerto la loro disponibilità a un dibattito per il pubblico che sarebbe certamente stato di grande interesse, visti i notevoli trascorsi del senatore Casson che da magistrato aveva seguito molte inchieste scomode ed è certamente persona preparata su argomenti simili. Sono state inviate inoltre circa 35 mail ad altrettanti giornalisti di vari quotidiani, invitandoli all’evento.

Purtroppo una sequenza impressionante di circostanze avverse ha rischiato di vanificare tutto il lavoro svolto; Mazzucco si è preso una bronchite che lo ha lasciato senza voce e nell’impossibilità di viaggiare, il senatore Casson ha fatto sapere all’ultimo momento che non ce la faceva a rientrare da Roma in tempo, e Tom Bosco è stato impedito da precedenti impegni. Come se non bastasse, nessuno dei 35 giornalisti invitati si è presentato.

Con un certo sconforto, dopo tanto lavoro fatto, mesi a tenere la corrispondenza con la segreteria del Senatore, e con tutte le altre persone coinvolte, mi sono recato alla proiezione nella speranza di vedere almeno due gatti entrare in sala.

La sorpresa, devo dire, è stata piacevole; la partecipazione è stata buona …

… e la sala ha lasciato pochi posti liberi. Dopo una generale delusione che è stata espressa dal publico in modo composto ma sentito, all’annuncio della mancanza dei relatori e del regista, ho introdotto brevemente il film e siamo passati alla proiezione.

3 ore e un quarto non sono certo poche, la quantità impressionante di informazioni esibite nel film spiazzerebbe chiunque, in sala si sentivano spesso dei versi di sorpresa e di disappunto quando venivano rivelate certe informazioni o ascoltate certe dichiarazioni; il pubblico era molto attento.

Alla fine un applauso e la gente che inizia ad uscire. Sto per avviarmi anch’io verso l’uscita ma vengo fermato da un tizio che stava seduto dietro di me e che aveva preso appunti in diversi momenti facendomi inizialmente pensare che fosse l’unico giornalista presente.

“Non avete dei DVD con la versione da 5 ore?” Chiede… “No”, rispondo, “Avrebbe dovuto portarli il regista…”

Intanto mi si avvicina: “Posso farle una domanda?”

“Certamente”

“I miei complimenti per il film, ne ho visti parecchi su questo argomento, anzi credo di averli visti tutti, da Loose Change a Zero, ma un film che raccogliesse tutti questi fatti presentandoli a questo modo non lo avevo mai visto… Non conoscevo ad esempio la storia dell’amianto sulle torri gemelle, ma c’è qualche rete televisiva che ha acquistato il film? Sarà possibile vederlo anche in altri circuiti?”

Prima che potessi rispondere, arriva una voce da fondo sala: “Scusate, potreste far sentire anche a noi?”

Era un gruppo di persone che non era uscito e aveva evidentemente tutta una serie di domande.

La cosa che mi ha colpito è che tutti gli interlocutori erano persone molto preparate su varie tematiche anche di politica internazionale; individui informati, e con uno spiccato spirito critico e decisamente una vasta cultura. Scoprirò poco dopo che uno di essi è un professore di filosofia all’università.

In breve si è creato un dibattito spontaneo tra queste persone e sono emerse tutta una serie di considerazioni molto interessanti.

Un senso di impotenza è emerso verso quei sistemi di potere che di fatto possono far accadere eventi come l’11 settembre o manipolare tutte le rivoluzioni colorate o le primavere arabe; argomenti che sono stati introdotti e di cui si è discusso.

Ma anche un appello sentito che è venuto da tutti i presenti: “Bisognerebbe trovare dei professori aperti e disponibili cui proporre proiezioni di questo tipo nelle scuole per far crescere il dibattito e la consapevolezza.”

Una considerazione interessante che è stata proposta riguardava proprio internet. E’ stato suggerito che possa rappresentare l’ultimo stadio, la fine di tutto, della presenza e dell’attivismo, della socializzazione tra le persone, L’ultima frontiera in termini di controllo e manipolazione, è stato citato Orwell: “Lo ha letto?” chiede un professore… “Certamente” rispondo, e i modi pacati e colti in cui argomentava le sue considerazioni mi hanno imposto una seria riflessione.

Alla fine, esco con una sensazione piacevole nel cuore: è vero, c’è tanta indifferenza, mancavano i giovani, viviamo in tempi bui, ma ci sono ancora persone che sanno vivere civilmente, dialogare in modo normale e non a parolacce come ci ha insegnato la tv; persone che sanno argomentare, che hanno uno spirito critico, che sono collaborative, che capiscono l’importanza di una stretta di mano e di uno scambio umano…

Alla fine, non è andata poi così male.

Music Band

La finestra di Overton

  • titolo: The Accountant (id – 2016)
  • genere: Azione/Thriller
  • regia: Gavin O’Connor
  • interpreti: Ben Affleck, John Lithgow, Anna Kendrick, J.K. Simmons
  • produzione: Warner Bros
  • giudizio: Subdolo

In due parole

Buoni sentimenti conditi con ultraviolenza, bipensiero e neolingua. Come Hollywood asfalta i cervelli.

Recensione:

(Premessa)

Come rendere accettabile l’inaccettabile. La finestra di Overton (o Overton Window) è una tecnica di ingegneria sociale che prende il nome dal suo ideatore Joseph P. Overton 1960-2003.

Overton mise a punto uno schema a “finestre” nel quale possiamo posizionare delle idee.1Un’idea “inaccettabile” dal pubblico come potrebbe essere il cannibalismo (soltanto per fare un esempio), viene inserita nella prima finestra (stadio di idea impensabile).

Secondo Overton, qualsiasi idea, anche la più incredibile ha delle finestre di opportunità. Con opportune tecniche di propaganda o, se preferite, di ingegneria sociale, questa idea può di volta in volta essere spostata in altre “finestre fino a essere resa accettabile ma non solo; fino a diventare addirittura legge.

Per dirla in due parole, si manda un nutrizionista in tv a dire che il cannibalismo in alcune circostanze potrebbe essere una soluzione a determinate problematiche. Altri nutrizionisti o magari lo stesso mondo politico insorge definendo pazzo il personaggio. A questo punto si crea un dibattito e la gente che ha guardato la tv inizia a parlarne al bar anche soltanto per sottolineare la follia o la stupidaggine della tv. Ecco che l’idea inaccettabile di cui nessuno nemmeno discuteva si è già spostata in un’altra finestra; quella dell’idea inaccettabile di cui si discute.

Procedendo per gradi si arriva a far accettare e legalizzare l’idea che nel frattempo è stata innestata nella società:

Lo schema di Overton è il seguente:

1. inconcepibile (inaccettabile, vietato)

2. radicale (vietato, ma con delle riserve)

3. accettabile (l’opinione pubblica sta cambiando)

4. utile (ragionevole, razionale)

5. popolare (socialmente accettabile)

6. legalizzazione (nella politica dello Stato)

“Di cosa parla veramente il film The Accountant”

1989. Centro di neuroscienze ricavato da un grazioso alberghetto in legno, stile rustico, sito in mezzo a boschi e montagne, lontano da occhi indiscreti: praticamente l’overlook hotel di shining. Due genitori con i loro figli, uno autistico e l’altro no, vengono ricevuti nell’ufficio del direttore dell’Overlook, praticamente un moderno Dottor Kildare2; la madre parla con il medico della dolce euchessina mentre nella stessa stanza, giusto per mettere a loro agio la coppia appena arrivata, una bambina ospite della clinica, sbava, grugnisce e ha la stessa compostezza di chi è stato appena morso da una vedova nera. Il fratello sano osserva lo spettacolo con l’espressione di chi ha appena visto “The Blair Witch Project”; il fratello autistico invece, incurante di ciò che accade attorno a lui, compone un puzzle di 15.000 pezzi alla rovescia. Una volta ultimato, il puzzle non rappresenta un paesaggio paradisiaco adatto a rilassare l’animo sensibile di un bambino ma Cassius Clay nell’atto di massacrare il suo avversario. Il pubblico potrebbe chiedersi (ma non lo farà) che altri puzzle ha in serbo il medico per i suoi pazienti.

“Suo figlio è un bambino straordinario” dice il dottor Kildare togliendosi il miele dalla bocca.

“Lei dice?” gli fa eco la madre “In casa si arrampica sui muri se accendo l’aspirapolvere, e va fuori di testa iniziando a picchiare il cane se vede una maglietta color verde acceso. Non parla, non mi abbraccia, che diavolo di problema ha esattamente? Mi hanno detto che lei è un esperto”.

“Non mi piacciono le etichette” dice il dottore con il miele che gli cola dalle orecchie evitando di nominare l’autismo (all’inizio del film sarebbe un’etichetta). “E’ evidente che i rumori forti e luci abbaglianti rappresentano un problema per lui, se lo lasciate qui sarà in un ambiente protetto” Continua il medico mentre la bambina tarantolata ha una crisi epilettica e fa il giro completo della testa come nell’esorcista.

Finalmente il padre prende in mano la situazione e se ne esce con: “Se gli danno fastidio le luci abbaglianti e i rumori forti, significa che ha bisogno proprio di questo, lo riporteremo a casa e ci penserò io”.

“Lei per caso è stato allievo di Josef Mengele?3 Chiede il medico

“No, sono il sergente Hartman di full metal jacket”4 Risponde il padre. Il pubblico potrebbe pensare che tutta la famiglia ha qualche lieve problema (ma non lo farà).

Dissolvenza, oggi: il bambino autistico è diventato un contabile molto ricercato perché la sua capacità di analisi e conteggio ha del sopranaturale; l’unico effetto collaterale del suo lavoro è che ridipinge i muri dei locali dove viene chiamato con formule degne di un astrofisico in crisi di nervi. Ha la faccia di Ben Affleck che avendo la stessa espressività di un lavandino dismesso è adatto alla parte. L’ex bambino autistico non è soltanto un genio; aiuta le famiglie povere in difficoltà e grazie alle sue doti lavora anche per le peggiori e più potenti associazioni criminali del pianeta sistemando la loro contabilità. Questa seconda parte della sua attività include una lieve possibilità di rischio; un cliente insoddisfatto potrebbe infatti gettarlo in acqua con un piedistallo di cemento. Per tutelarsi quindi, il nostro eroe e diventato pure un Ninja, un Terminator, un pilota, l’uomo invisibile e l’incredibile Hulk; ammazza gente a pacchi e a sangue freddo come fossero moscerini e al confronto Rambo è uno sfigato che fa l’uomo delle pulizie in palestra. E’ imprendibile come Arsenio Lupin e può scomparire nel mondo cambiando identità come l’Etan Hunt di Mission Impossible Il merito di tutto questo è del padre che, da buon sergente dei marines, lo ha addestrato, assieme al fratello, a cazzotti in bocca. Appare evidente che nessuno ha capito nulla degli autistici: se li arruoli nei marines, guariscono.

L’unico problema del nostro contabile è che se non gli lasci completare un conteggio, rischia di perdere il controllo e sterminare i clienti; per questo si rinchiude in casa lesionandosi l’udito con gli Iron Maiden a volumi capaci di far saltare i timpani a un sordo, e procurandosi una labirintite a furia di luci stroboscopiche; devastandosi poi gli stinchi con una mazza di acciaio. Praticamente con le tecniche di tortura ereditate da Guantanamo. Poi torna sereno e in tutto questo festival della tortura, ciò che ha trasmesso al pubblico l’espressione di Affleck è l’intera gamma emotiva del lavandino dismesso.

Nella sua carriera è aiutato da una misteriosa voce femminile che tramite telefono gli fornisce ogni informazione o dato utile. Un’amica che sembra avere accesso ai segreti più reconditi di chiunque e che lo guida nelle sue imprese.

Facciamo poi la conoscenza del direttore del tesoro che sta per andare in pensione e non è mai riuscito a identificare e prendere il misterioso contabile presente in praticamente tutti i casi di criminalità della storia. Allora convoca la migliore analista in forze al suo ufficio che, essendo nera, dovrebbe rappresentare l’inclusività di Hollywood ma il direttore la accoglie in questo modo:

“Hai fatto 5 anni alla cia, 3 alla difesa, 2 con gli avengers e 3 con gli x-men; hai risolto i casi più intricati, smascherato i mascherati e adesso sei qui al tesoro; perché non hai mai accettato la promozione e sei diventata un agente operativo?”

“Mi piace di più fare l’analista”

“Sei una troia bugiarda e infame, da giovane sei stata arrestata, hai picchiato un bianco, hai fatto il riformatorio e hai mentito sul tuo passato”

Lacrime

“Scegli: o fai l’analista per me e mi risolvi questo caso, o faccio uscire il tuo passato e ti mando dritta in galera”. (non si comprendono bene le minacce dato che la donna è alle sue dipendenze ma evidentemente questo è l’american style, e di questi tempi è meglio sottolineare come vanno trattati i sottoposti).

Il resto del film è:

lui viene coinvolto nell’ennesima operazione criminale, salva la sfigata di turno che si ritrova in mezzo a un casino per puro caso e che si innamora di lui; ammazza tutti come terminator, ritrova il fratello che lavora come esperto di difesa e lo saluta dandogli appuntamento per una bevuta subito dopo aver sterminato tutti i suoi uomini, l’analista riesce a smascherare il contabile ma a quel punto il direttore del tesoro fa una confessione: una donna misteriosa al telefono (la stessa che aiuta il contabile) gli ha fornito tutte le dritte che gli hanno permesso di fare carriera e adesso che andrà in pensione toccherà a lei prendere il suo posto (dopo le minacce e gli insulti razzisti quindi, viene promossa a vivere da ipocrita come il suo capo). Il lavandino dismesso ovviamente sparisce nel nulla dopo aver regalato un “pollock” (tra le altre cose era pure un esperto di arte) alla sfigata che non può trombare perché deve darsi alla macchia.

Arriva il gran finale:

Siamo tornati alla clinica del dottor kildare ormai vecchio come tutankamen, una nuova coppia di genitori porta al suo cospetto il figlio ed è qui che si palesa la finestra di Overton:

“Nostro figlio non parla, è come fosse sparito, gli serve aiuto, speravamo recuperasse ma non è successo”

“In questo paese viene diagnosticato un caso di autismo a un bambino su 68”

Il medico finalmente nomina apertamente l’autismo e snocciola un dato esatto, peccato si dimentichi di aggiungere che questa statistica è stata resa nota dai cdc degli stati uniti nel 2014 che, se confrontata con quella del 1980 si evidenzia che veniva diagnosticato un caso di autismo ogni 10.000 bambini. Non parla ovviamente del fatto che i bambini americani ricevono 26 dosi di vaccino entro il primo anno di vita e lascia cadere dall’alto la notizia come fosse sinonimo dei tempi che cambiano.

Ma ecco il capolavoro:

“Se lasciate perdere per un attimo quello che vi hanno detto i pediatri e i -non autistici-, pensate se avessimo fatto i test sbagliati per quantificare l’intelligenza dei bambini affetti da autismo? Vostro figlio non è inferiore agli altri, è diverso, le vostre aspettative su di lui col tempo potranno cambiare, potrà sposarsi, avere figli, o forse no, ma se lasciamo che sia il mondo a decidere le sue aspettative, saranno certamente scarse; forse vostro figlio può fare più di ciò che sappiamo e forse non sa come dircelo, o forse siamo noi che non abbiamo imparato ad ascoltare”

Poi il padre del ragazzo vede la bambina dell’esorcista (ormai donna) al computer

“Quella è mia figlia, dice il medico, è per lei che ho aperto il centro, ha smesso di parlare 30 anni fa e comunica con un computer che parla al posto suo. Il tutto donato da privati molto generosi” (il contabile ndr).

“Ma quello è un computer a 32 processori positronici con lame rotanti, fiamma di megalopoli e goldrake incorporato”

“E’ un buon computer?”

“Scherza? Con quello entra ed esce dal pentagono”

Chi pensava bastasse un hacker con un portatile evidentemente non ha capito niente, e così abbiamo scoperto che l’amica misteriosa del contabile è l’indemoniata vista all’inizio. Morale: come sdoganare l’autismo per incorporarlo nella nuova normalità

Benvenuti nel “Mondo Nuovo”

Are You Deficientes?

  • titolo: Salt (id 2010)
  • genere: Azione/Thriller
  • regia: Phillip Noyce
  • interpreti: Angelina Jolie, Liev Schreiber, Chiwetel Ejiofor, Daniel Olbrychski
  • produzione: Columbia Pictures
  • giudizio: Esilarante involontario

In due parole

E’ un film quello che sto vedendo o qualcuno ha vomitato sullo schermo? (Antica espressione cinematografica)

Recensione

Hollywood, Columbia Pictures 2010…

“Pronto? Qui gli studi della Columbia!”

“Qui è il Pentagono, abbiamo velocemente bisogno di un blockbuster che riporti le atmosfere della guerra fredda, faccia credere che i Russi hanno ricominciato a mangiare i bambini e sia pieno di gnocca a stelle e striscie.”

“Siete fuori tempo massimo, Reagan è imbalsamato, i russi sono nostri amici e non attaccheranno l’Ukraina che tra 12 anni, ci manca il movente”

“Avete i migliori paracul… Ehmm… Sceneggiatori sulla piazza e noi dobbiamo portarci avanti con il lavoro e abituare la gente a odiare di nuovo i Russi; vogliamo una produzione di alto livello, paghiamo noi.”

“E’ un eufemismo?”

“No, nessun effeminato nudista, perchè?”

“No dicevo, paga il popolo, voi che soldi avete? Mica siete commercianti”

“Siamo finanziati dal governo…”

“Appunto…”

“Faccia meno lo spiritoso e si dia da fare…”

Hollywood, Columbia Pictures 20 minuti dopo…

“…Non me ne frega niente se la tua segretaria studia la parte di Monica Lewinsky sotto alla tua nuova scrivania, quale regista abbiamo sotto contratto che conosca il mestiere ma sia anonimo quanto una scoreggia in un centro commerciale affollato?”

“…Mmmhh… C’è Phillip Noyce, è bravo e non se lo ricorda mai nessuno… Deve essere un morto di figa e fa tutto quello che gli chiedi…”

“Assumilo! Ci serve anche uno sceneggiatore compiacente…”

“Beh… C’è un giovane tedesco, Kurt Wimmer, molto volenteroso… Un altro mezzo sfigato disposto a scrivere qualsiasi boiata gli venga suggerita”

“Ottimo, i tedeschi poi odiano i russi di default… Adesso ci serve un forte richiamo per il pubblico”

“Direi Angelina Jolie, è gnocca, non si è ancora rifatta le tette e ha sempre la stessa espressione da cubetto di ghiaccio andato a male che la rende adatta a interpretare la spia russa.”

“Abbiamo il film… Procedi!”

“… Soltanto un momento… La segretaria sta ultimando le pratich…. eaiouuuaaaei…”

“Questa è meglio se non la metti nel film, adesso muoviti che abbiamo i finanziamenti dei militari”

“E’ un eufemismo?”

“Ovvio che si”

La storia di questo film fa pensare che Kurt Wimmer, sceneggiatore non proprio indimenticabile con velleità da regista presto stroncate (l’interessante Equilibrium -2002- e l’orrido Ultravioet -2006-), si sia documentato sul Papersera o sull’eco di Topolinia. Scopriamo infatti, fin da subito, che i Russi sono tornati ad essere i cattivi per eccellenza ma non basta, i loro agenti segreti sono sadici, si divertono a veder soffrire il prossimo e assomigliano tutti a barboni appena scesi da una nave Albanese di disperati. Esibiscono un repertorio di barbe incolte e facce con stampato in fronte: “Sono un pericoloso serial killer dal doppio cromosoma Y). Immagino si tratti di una sottile e incomprensibile strategia per passare inosservati dato che dovrebbero fregiarsi del titolo di “agenti sotto copertura”. Forse l’aspetto da uomo comune è un clichè troppo abusato o sarà il pubblico rincoglionito del 2010 che altrimenti faticherebbe a riconoscere i cattivi? Ma anche gli Americani non si impegnano troppo per risultare invisibili, non ce la fanno a restare “segreti” per vocazione; sono infatti perfettamente rasati, vestono da Armani e hanno facce da ragazzo copertina della rivista Men. Sono in missione per conto di Dio e talmente ingenui da risultare stupidi davanti alle spietate macchine da guerra sovietiche. Ci vuole quindi qualcuno che sappia come combattere i Russi spietati.

E’ a questo punto che entra in scena la protagonista; Angelina Jolie è infatti un’agente segreto della cia da molti anni, uno dei migliori. Ma udite udite, quello che i suoi colleghi non sanno (gli angeli stupidotti vestiti da Armani), e che scopriremo durante il film, è che si tratta in realtà di una spia russa infiltrata; un’agente dormiente addestrata fin dalla nascita. Flashback: un siparietto ci mostra come il cubetto di ghiaccio andato a male sia stata rapita fin da bambina e addestrata dai cattivi Russi con un programma di controllo mentale che l’ha trasformata in un’arma letale pronta ad entrare in azione in qualsiasi momento. Il film procede tra: Blam! Pow! Crash! Sock! “Ti spiezzo in due…” fino al colpo di scena suggerito direttamente da Walt Disney durante una seduta spiritica a Hollywood: Si scopre infatti che la macchina letale in grado di abbattere uomini addestrati come birilli è diventata buona; è dei nostri ora. Milioni di rubli e un efficente programma di controllo mentale sono andati in fumo perchè durante gli anni della sua vita da infiltrata, la bella spia si è innamorata di un entomologo tedesco; una faccia da pane comune, meno espressivo di un platano, che dopo averci regalato il vuoto cosmico della sua prova attoriale con due inquadrature da 5 secondi ciascuna, viene tolto di mezzo dai cattivoni russi. L’unico scopo di questo personaggio fantasma sembra essere quello di giustificare il fatto che la nostra Mata Hari ha una tarantola che gira per casa e che manco a dirlo servirà a sventare il piano dei colleghi cattivoni grazie al suo veleno. Resta il fatto che è stata sufficiente una scopata e due pranzi da MacDonald per trasformare una macchina programmata a distruggere l’America in una ragazza casa, chiesa e famiglia che vuole soltanto vivere il suo sogno americano.

Ovviamente gli Americani rimangono sinceramente sbalorditi quando scoprono la vera identità della nostra eroina; loro infatti, da perfetti boy scout, non sanno nulla di programmi di controllo mentale, i buoni queste cose non le fanno.

E se pensate che abbiamo già raggiunto il culmine del ridicolo, il nostro Kurt Wimmer, nel suo delirante desiderio di compiacere gli studios meglio di qualsiasi aspirante Lewinsky, partorisce alcune ciliegine da primato:

Ciliegina sulla torta N.1:

Con estrema nonchalance, all’inizio del film ci viene raccontato come Lee Harvey Oswald (si proprio lui, avete capito bene) era in realtà una spia sovietica addestrata anch’essa con programmi di controllo mentale e così efficente che di fatto ha ammazzato il presidente Kennedy tutto da solo. (Questa vale tutto il film)

Ciliegina sulla torta N.2:

I russi, per distruggere gli Stati Uniti hanno la brillante idea di attaccare l’Iran con un paio di bombe atomiche, provocare qualche milionata di morti, e far ricadere la colpa sugli americani (E’ noto che l’America ama alla follia l’Iran e mai se la prenderebbe con questo stato) che in questo modo si troveranno attaccati da una miliardata di mussulmani inferociti. Viene il sospetto che Kurt Wimmer nel suo prodigarsi fedelmente, abbia fatto un mezzo casino con i ruoli.

Alla fine delle risate però un sospetto si insinua sotto forma di un pensiero inquietante: Non sarà che i responabili di questi film, sanno che per quanto imbecilli scaveranno un solco nel cervello della gente che con gli anni diventerà una convinzione, un’idea, un’opinione?

In fondo, c’è gente ancora convinta che i cowboy erano i buoni e si vestivano con i lustrini mentre gli indiani erano selvaggi, violenti , stupratori e cattivi. Ed erano capitati in america per distruggere i sogni di libertà dei coloni bianchi.

E soltanto 10 anni dopo, vedremo gli eredi di questo cinema girare per strada con delle mutande in faccia per sconfiggere un pericoloso virus…

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