Emotion In Motion

Autore: admin (Pagina 1 di 2)

“Sound Of Freedom”

“Tra ipocrisie, censure, faccia tosta e stupidità”

Ho appena visto il tanto chiaccherato “Sound Of Freedom” il film indipendente tra i cui molteplici produttori figura anche Mel Gibson, interpretato da Jim Caviezel e centrato sul traffico di minori e bambini utilizzati come schiavi sessuali.
Prima di parlare di questo film però, devo dire che sono rimasto piuttosto colpito dalla rabbia, sfociata in autentica idiozia da parte della critica e dei giornali, che si è abbattuta su una pellicola tutto sommato indipendente a basso budget che non ha goduto di una grossa distribuzione e che non è manco finita nei maggiori canali di streaming come Netflix, Amazon Prime e Disney Channel.


Dico che mi ha colpito perché nel caso dello scandalo per il film “Mignonnes” (Cuties 2020) che è partito dall’indignazione del pubblico per una pellicola che ammicca alla pedofilia esibendo in modo estremamente ambiguo la sessualità di ragazzine undicenni e che a fronte di un movimento spontaneo ha fatto perdere migliaia di abbonamenti a Netflix. Si è verificata una levata di scudi da parte della stampa e della critica per difendere questo prodotto e tesserne le lodi di critica sociale (ne parlo ampiamente nel mio libro Sub Limen 2 il lato oscuro di Hollywood).

https://www.amazon.it/SUB-LIMEN-OSCURO-HOLLYWOOD-Conquista/dp/B0CH2B1KZH/


Per Sound Of Freedom invece, una pellicola che denuncia apertamente il traffico e lo sfruttamento sessuale di minori, è accaduto esattamente il contrario: il pubblico lo ha sostenuto al punto da trasformarlo nel maggiore successo del 2023 in grado di scavalcare al botteghino blockbuster ad ampissima distribuzione e diffusione come Mission Impossible e Indiana Jones; mentre la critica e i giornalisti si sono premurati di distruggere la pellicola prendendosela non soltanto con il film,
l’attore e il regista, ma pure con il pubblico che è andato a vederlo. Onestamente non avevo mai assistito a un tale attacco in cui si prende di mezzo pure lo spettatore.


Ecco un esempio tutto Italiano, Matteo Regoli , critico cinematografico (si definisce così), esordisce in questo modo:


“…Qualche giorno fa vi parlavamo del clamoroso successo ottenuto da Sound of Freedom, film con protagonista il controverso attore Jim Caviezel e rivolto in larga parte ad un pubblico di cospirazionisti di estrema destra che sta facendo registrare incassi epocali al box office USA…”1


Ma anche in America il tono è lo stesso, il guardian ad esempio, in alcune recensioni, ne parla così:

“…Sostenuto dai cospirazionisti di QAnon, questo thriller ben intenzionato sul traffico sessuale di minori è volgare e pieno di pantomime criminali…” 2


“…Jim Caviezel interpreta il vero attivista Tim Ballard in un film noioso che è diventato un successo al botteghino americano…” 3


In una critica si arriva addirittura a negare che esista il problema del traffico di minori:


“…Si dice che la rappresentazione complessiva delle operazioni globali di schiavi sessuali infantili non sia realistica. Il film fa sembrare che siano comuni operazioni di rapimento di grandi dimensioni che forniscono bambini da utilizzare per la pornografia e gli schiavi del sesso. La verità è che di tutti i bambini rapiti nel mondo, quelli rapiti da sconosciuti sono meno dell’1% …

…Sfortunatamente questa storia gioca anche con alcune popolari storie di cospirazione di Qanon…”4


La critica prosegue poi in una critica politica a Trump e alla storia del pizzagate che con il film non ha alcuna attinenza.
Se poi diamo un’occhiata alle critiche ufficiali apparse su Rotten Tomatoes, troviamo sempre commenti simili:


“..È una storia bella e avvincente, ma è vero? Dopo un lungo controllo dei fatti, ho scoperto che gran parte della storia non è vera e che l’eroe è significativamente diverso nella realtà da come è rappresentato nel film. La puzza di QAnon pervade questo film…”


Da notare che leggendo la critica per intero, si scopre che il lungo controllo dei fatti a cui accenna, è una visita alla pagina di wikipedia.


Finora ho accennato soltanto alle critiche cinematografiche, ma è pazzesca la serie di polemiche che si è innescata su questo film che doveva uscire nel 2018 con la 20th Century Fox. Ma poi, dopo che la Disney ha acquistato il colosso della distribuzione, la pellicola è finita stranamente in cantina ad ammuffire e ci sono voluti 5 anni di litigi per fare in modo che i produttori tornassero in possesso
dei diritti per avere così la possibilità di farlo distribuire.


Controllando sulle liste di Amazon Prime, Netflix, Disney Channel, HBO, il film non risulta disponibile per la visione in streaming.
Uno dei produttori, Eduardo Verástegui, ha recentemente rivelato che aziende come Netflix e Amazon lo hanno rifiutato quando si è rivolto a loro per parlare di distribuzione, e alcuni “non hanno nemmeno risposto alle mie telefonate”. 5
Queste aziende però, interpellate per chiarimenti hanno negato di aver rifiutato il film e asseriscono di non aver mai ricevuto offerte in tal senso.


Quando poi è intervenuta la casa di produzione “Angel” di matrice cattolica, con un’interessante operazione di marketing è riuscita a far vedere il film che ha circolato pochissimo per le sale, fino a trasformarlo in uno dei maggiori incassi grazie al passaparola.


In molti articoli poi, si parla anche di Tim Ballard, il vero poliziotto interpretato dall’attore Caviezel, insinuando che non sia un eroe ma che sia stato accusato di condotta sessuale moralmente discutibile per certe frasi ambigue che avrebbe rivolto alle segretarie dell’associazione che ha messo in piedi per salvare i bambini6

Osservando questa gigantesca macchina del fango che si è attivata per un film, mi viene da pensare che un nervo scoperto è stato non solo toccato, ma probabilmente martellato con violenza e ripeto, ciò che più mi colpisce è che si tratta di un film dove si parla di bambini innocenti che vengono abusati; una tematica che dovrebbe mettere daccordo tutti e sopratutto una stampa molto attenta a non esporsi troppo e parandosi sempre e ipocritamente dietro al buonismo, ai diritti, etc. etc. etc.


Ho comunque visionato questa pellicola e posso dire che non la ho trovata noiosa; soltanto profondamente inquietante. Non c’è nessuna sequenza grafica di violenza esplicita. Il regista a mio

avviso è molto abile a non calcare la mano ma a rendere semplicemente evidente che cosa può significare il rapimento di un bambino. Ogni genitore non può non pensare ai suoi figli e anche chi non ne ha, è costretto a riflettere.
Forse non è un film perfetto, ma di certo è un atto doveroso che rompe un tabù e che per quanto faccia male e metta a disagio, va visto almeno una volta.


Approfondendo la storia di questo film mi è venuta una riflessione: forse, una volta tanto, una finestra di Overton è stata aperta per una buona causa… Probabilmente è questo che ha fatto schiumare di rabbia così tanta gente… Non penso siano tutti in malafede, ma di certo sono in tanti a non voler sentire queste storie perché ti costringono a riprenderti la tua responsabilità individuale, e questo fa certamente paura.

  1. https://cinema.everyeye.it/notizie/sound-of-freedom-netflix-disney-amazon-scartarono-film-complottista-jim-cavaziel-661364.html ↩︎
  2. https://www.theguardian.com/film/2023/sep/03/sound-of-freedom-review-manipulative-take-on-a-harrowing-topic ↩︎
  3. https://www.theguardian.com/film/2023/aug/30/sound-of-freedom-review-anti-child-trafficking-thriller-that-plays-to-the-qanon-crowd ↩︎
  4. http://www.lariat.org/AtTheMovies/new/soundfree.html ↩︎
  5. https://www.newsweek.com/sound-freedom-amazon-netflix- conspiracy-1822981 ↩︎
  6. https://www.newsweek.com/tim-ballard-sexual-misconduct-allegations-sound-summer-utah-senate-1828086 ↩︎

Nuove manipolazioni in arrivo

Nei libri Sub Limen (la tua vita è un inganno) e Sub Limen 2 (il lato oscuro di Hollywood) parlo della programmazione predittiva; si tratta in breve di una tecnica adottata dalla moderna propaganda per preparare il popolo ad eventi futuri.

E’ in tutto e per tutto una tecnica di manipolazione mentale perchè le informazioni vengono rilasciate generalmente attraverso l’intrattenimento (cinema/videogiochi/tv/musica) con prodotti in grado di creare un forte impatto emotivo che porterà il soggetto a metabolizzare nuove associazioni di idee e a formarsi delle opinioni oltre che, rimanere completamente annichilito dal carattere profetico di un film, un libro etc. Nel momento in cui vede realizzarsi ciò che sembrava semplicemente finzione. E’ una sensazione tesa a far sentire un senso di impotenza e di mancanza di controllo portando a credere che questi eventi appartengano a un qualcosa di inevitabile e molto più grande di noi. Si tratta di fatto di una vera e propria azione di guerra psicologica per assoggettare le menti e indirizzare opinioni e pensieri nella direzione voluta dall’artefice di queste operazioni.

Nei libri porto alcuni esempi che generalmente vengono scoperti a posteriori, cioè dopo che l’evento di cui si parla si è verificato. Ma qui voglio parlarvi di un’operazione che è in corso in questo momento; sono da poco usciti due nuovi film e un terzo è in arrivo, che sembrano infatti essere in tutto e per tutto prodotti di propaganda studiati appositamente per creare un grosso impatto emotivo nel pubblico e prepararlo a eventi che potrebbero accadere addirittura prima delle elezioni americane che sono molto vicine.

Sto parlando del film di Sam Esmail (il creatore di Mr. Robot) con Julia Roberts: “Il mondo dietro di te” (2023) in cui si ipotizza un attacco informatico militare che provoca un black out totale gettando l’America nel panico.

Questo il trailer del film

La produzione è Netflix e magari sarà un caso ma sappiamo che l’ex presidente Obama è tra i finanziatori della piattaforma.

Il secondo film si intitola: “I.S.S.” di Gabriela Cowperthwaite in cui gli astronauti dalla stazione spaziale I.S.S. assistono a una improvvisa guerra termonucleare tra Russia e America

Questo il Trailer

E infine abbiamo: “Civil War” di Alex Garland in cui viene mostrato l’inizio di una nuova guerra civile in America.

Queste tre pellicole sembrano collegate da eventi catastrofici (guerra civile, black out e attacco informatico, guerra nucleare) di cui si parla anche in rete e su alcuni social da qualche tempo e che sono stati annunciati a più riprese da vari personaggi appartenenti alla politica o ai cosìdetti esperti di turno che oltre alle nuove pandemie, hanno annunciato appunto la possibilità di una guerra (è di pochi giorni fa la notizia che il ministro della difese svedese ha dichiarato che bisogna prepararsi alla guerra), addirittura molti parlano di un possibile attacco informatico da parte dei Russi e anche la guerra civile serpeggia tra i pericoli che ci aspettano.

Il Trailer di Civil War

La strategia della tensione è anche questa; rilasciare prodotti che incarnano le paure di questi tempi e sarà certamente interessante analizzare le trame di questi film per capire quali sono i concetti, le idee e i valori che vengono veicolati attraverso queste pellicole.

Una piccola curiosità:

Nel film “Il mondo dietro di te”, i due ragazzi della famiglia che si trova coinvolta in questi tragici eventi dovuti all’attacco di hacker misteriosi, indossano a un certo punto delle magliette; su una sta scritto “OBEY” e sull’altra: “NASA”. In una particolare inquadratura, vengono ripresi assieme in modo da formare la scritta: “OBEY NASA”

E se per caso non ve ne foste accorti, nel fermo immagine di Civil War che potete vedere qui sopra, il cecchino ha le unghie dipinte di rosa e una dipinta di verde… E’ un militare gender fluid?

Occhio alle manipolazioni.

Crepuscolo rosso in un mondo grigio

Electra Glide (Electra glide in blue – 1973)

  • genere: Drammatico
  • regia: James William Guercio
  • interpreti: Robert Blake, Billy Green Bush, Mitch Ryan, Jeannine Riley, Elisha Cook Jr
  • produzione: United Artists
  • giudizio: Imperdibile

In due parole

Se amate Bruce Willis e i superpoliziotti eroici dal machismo esasperato, questo film non fa per voi

Recensione

James William Guercio non è un regista (cioè, tecnicamente lo è dopo questo film anche se rappresenta a tutt’oggi l’unica opera da lui realizzata), e di certo è ben più famoso e conosciuto per essere lo storico produttore di uno dei gruppi musicali più eclettici e incisivi che l’america ha prodotto: i “Chicago” (quelli di: If you leave me now il loro pezzo più famoso anche se non di certo il migliore).

Guercio realizzò questo piccolo capolavoro nel 1973, quando aveva soltanto 27 anni e ne produsse anche la colonna sonora affidata ai già noti Chicago. Ciò che colpisce immediatamente del giovane regista è la sua padronanza del mezzo cinematografico; non si notano segni di immaturità registica ma soltanzo la piena consapevolezza del messaggio da trasmettere e del modo in cui farlo. Qualche neocritico da battagtlia potrebbe definirlo “manieristico” per la ricerca della finezza nell’inquadratura del dettaglio o per i “rallenty” presenti nelle poche sequenza d’azione; ma la verità è che la splendida fotografia di Conrad L. Hall è di fatto la narrazione e il messaggio assieme alla storia, i dialoghi e la recitazione.

Si è detto molto di questo film oggi praticamente dimenticato perchè quasi mai riproposto in TV che fu accolto a Cannes da uno strepitoso successo di pubblico e critica anche se non vinse la palma d’oro; aveva molte cose da dire allora e ne ha molte da dire anche oggi, specialmente a una generazione giovane e completamente assuefatta da banalità seriali “horror-ifiche” e “telenovela-tiche” la cui maggior espressione (se vogliamo considerare l’enorme successo al botteghino) è rappresentata da scatoloni vuoti e imbarazzanti come Twilight.

Qualcuno potrebbe dire: “Basta, ne abbiamo piene le scatole di film sulla fine dei sogni, sulla morte delle illusioni, sul beffardo e tragico senso dell’umorismo di questa vita carogna.” Ma ragazzi miei, a saperli fare così i film, a saperle dire così queste cose, senza trasmettere soltanto sterili e cinici imput che ti fanno uscire dal cinema depresso con il dubbio di aver buttato i soldi (caratteristica di molti presunti film “seri” odierni) dato che ci eri entrato per passare due ore lontano dalla quotidianità: ma facendoti invece riflettere, dandoti lubrificante per il cervello, perchè sei un uomo, non un manichino che deve soltanto spendere in cambio di un indottrinamento al pensiero piatto.

Ed ecco che la parabola di vita del poliziotto John Wintergreen a bordo della sua moto “Electra Glide” nelle sterminate e solitarie strade della Monument Valley non racconta soltanto il microcosmo di un uomo ma anche il macrocosmo di una nazione; prevedendone la deriva feroce e autoritaria che avrebbe sconfitto un sogno romantico di libertà.

Un film che mostra l’alienazione attualissima di una società alla deriva; come il collega e miglior amico di Wintergreen, quello Zipper, la cui massima aspirazione di vita consiste nel potersi comperare una Electra Glide in Blue, versione civile della moto che usa tutti i giorni durante gli interminabili turni di servizio.

Ma non vogliamo raccontarvi nulla di questo film, perchè finalmente qualcuno ha deciso di farlo uscire in DVD; e allora fatevi un favore, andate a prenderlo e riscoprite il gusto del cinema “che fa pensare”.

“La solitudine ti ammazza più di una 357 magnum”(John Wintergreen)

“Ti fai una bella vita sulla tua moto: tu fai le tue ore, poi smonti e ti sei guadagnato il pane. Cosa c’è di più semplice?” (Zipper)

Locke (id – 2013)

  • genere: Drammatico
  • regia: Steven Knight
  • interpreti: Tom Hardy, Olivia Colman, Ruth Wilson, Andrew Scott, Tom Holland
  • produzione: IM Global
  • giudizio: Imperdibile

In due parole

Potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravivaci… Ma noi siamo cinema, non rincoglionimento. Ecco una lezione da sbattere in faccia a tanti… Ma non solo… C’è perfino di più…

Recensione

E’ possibile realizzare un film che regga 89 minuti con un singolo attore e in una singola location (l’abitacolo di un’auto)?

Con una sceneggiatura solida, un attore di talento e un regista non meno bravo si; e finalmente si parla di cinema con le maiuscole.

C’è molta carne al fuoco in questa pellicola ma andiamo con ordine:

Locke è un uomo di successo, ha raggiunto una solida posizione professionale e una soddisfacente vita privata con una famiglia stabile. Alla vigilia della più grande sfida della sua carriera, una telefonata provocherà il crollo di un’intera esistenza. La tragedia di un uomo vissuta in tempo reale nell’arco di una notte in cui il suo universo inizia ad andare in pezzi durante un viaggio.

Il film è letteralmente un “One Man Show”, basato sulla straordinaria performance di Tom Hardy (l’anonimo Bane del terzo Batman di Nolan) che riesce a fornire una prova attoriale che definire magnifica è un eufemismo (il resto del cast sono voci al telefono); l’attore ha il pieno controllo della sua interpretazione, gioca di sottrazione, smorza le reazioni emotive e trasmette con incredibile efficacia tutto ciò che l’universo rappresentato da un essere umano sta subendo su molteplici livelli.

Nonostante le limitazioni pesantissime di movimento e quindi fisicità , la vicenda si svolge interamente alla guida di un’auto attraverso una serie di telefonate al cellulare, non c’è un’inquadratura di Hardy che non regga la scena. La sceneggiatura costruita con grande sapienza, una regia attenta, studiata minuziosamente nelle angolature e l’eccellenza interpretatriva di questo straordinario attore tengono incollati allo schermo per tutta la durata del film.

Tecnicamente, a voler essere pignoli, qualche forzatura c’è: i momenti in cui Locke dialoga allo specchietto retrovisore con la presenza immaginaria del defunto padre, necessari per comprendere il passato e le motivazioni dell’uomo, assumono un registro “teatrale” che può suonare un pò stonato nel contesto degli altri eventi. Ma sono appunto pignolerie, ce ne fossero in abbondanza di film con questi difetti e avremmo risolto il problema di tanto piattume.

Locke quindi è un film che funziona sotto molteplici aspetti: registico, tecnico, narrativo e attoriale; dimostrando che non servono grandi finanziamenti per realizzare un prodotto elitario che vola a quote più alte di molti colleghi anche autorevoli, ma è anche molto più di questo come dicevo in apertura.

Non si tratta di un puro esercizio di stile perchè altrimenti si sarebbe scaduti nel manierismo. Oltre a tutto ciò di cui ho parlato, c’è la volontà di trasmettere un concetto assai profondo che però, almeno a livello razionale, è sfuggito alla maggior parte della critica che pure ha lodato il film limitandosi però agli aspetti da me già citati.

Sto parlando di ciò che emerge e che rimane alla fine di questa storia. Un concetto che appartiene probabilmente della volontà del regista Steven Knight; il quale riesce a trasmettere una profonda lezione morale senza scadere nel moralismo d’accatto, evitando accuratamente le trappole degli stereotipi narrativi e dei predicozzi pedagogici ed esplicativi per il pubblico “semplice”.

Locke infatti, e questa mi sembra la cosa più rilevante che giganteggia su tutto il resto, è un film che parla della necessità, oggi, di recuperare ognuno il senso della responsabilità. Parla della fondamentale importanza di assumersi il peso delle proprie scelte e dei propri errori; di capire le implicazioni delle proprie azioni. In quest’epoca dove la cultura della “delega” ci è stata inoculata fin dalle fondamenta per endovenosa in ogni aspetto della nostra vita compresa la cura dei nostri figli, Locke è un rarissimo esempio di cinema che lancia un messaggio importante perchè non annacquato da ideologie che siano dirette, trasversali o distorte.

Locke è un film etico e morale senza scadere come abbiamo detto nel moralismo, è avvincente come un thriller e non offre risposte facili o ricette pronte per nessuno. Locke è un uomo consapevole del proprio passato che decide di fare la cosa giusta anche se questo significa disintegrare la sua vita. Ma lo fa perchè è consapevole che altrimenti la disintegrazione riguarderebbe la sua anima obbligandolo a vivere in un nuovo universo di menzogne e opportunismo, non meno distruttivo e sicuramente più orrendo di ciò a cui sta andando incontro.

Si tratta di un film che va ripescato e rivalutato anche alla luce di quello che è successo negli ultimi 3 anni.

Questa la realtà che emerge senza spiegazioni didascaliche, il valore aggiunto del film, e scusate se è poco.

Oltre l’incubo di Orwell

Il Prigioniero (The Prisoner – 1967)

  • genere: Fantapolitica
  • regia: Registi Vari
  • interpreti: Patrick McGoohan, Angelo Muscat, Peter Swanwick
  • produzione: ITC & Everyman Films
  • giudizio: Da non perdere

In due parole

Una serie incredibile che spazza via tutti i canoni della televisione e dei telefilm dell’epoca trasformandosi in un oggetto di culto che continua a far riflettere e discutere molte persone nel mondo anche al giorno d’oggi

Recensione

“Le domande sono un peso per gli altri, le risposte una prigione per noi stessi”

Il prigioniero viene trasmesso tra il 1967 e il 1968 in Inghilterra diventando immediatamente un “CULT”. Patrick McGoohan, ideatore, produttore e interprete della serie, nonché scrittore e regista di vari episodi sotto pseudonimo, infrange tutti gli schemi del prodotto televisivo dell’epoca creando un incubo Orwelliano pregno di tematiche dal forte impatto sociale, toccando tutta una serie di argomenti che vanno dall’inganno della democrazia fino al controllo mentale, la manipolazione dei sogni, l’uso di droghe allucinogene, il furto dell’identità, l’ipnosi.

La trama è semplice e serve per esporre tutte le tematiche care a McGoohan: il protagonista è un agente segreto in possesso di informazioni vitali; dopo aver rassegnato le dimissioni (sequenza che vediamo nei titoli di testa) viene narcotizzato e rapito. Si risveglierà nel “Villaggio” un luogo segreto dove vengono portati tutti i dissidenti o i personaggi scomodi. In questo posto è stata creata una società di stampo Orwelliano; ci sono telecamere nascoste ovunque, anche all’interno delle abitazioni. Controllori e guardiani sorvegliano costantemente gli abitanti che vivono in una libertà illusoria. Tale società si organizza con un sistema di votazioni di stampo democratico ma come avviene nella nostra società, in realtà nessuno decide nulla perché i candidati sono comunque sotto controllo del potere oscuro che gestisce questo luogo. Non si può abbandonare il villaggio, le persone non hanno più nomi ma soltanto numeri (il protagonista è il numero 6) e ognuno può essere prelevato da casa sua nel sonno per essere sottoposto ad esperimenti di ogni genere sul controllo mentale e la manipolazione della personalità. A capo del villaggio c’è il numero 2 (che cambia ad ogni episodio sottolineando che anche il dirigente del villaggio è un burattino che esegue degli ordini); scopo del numero 6 che rifiuta di essere assimilato in questo sistema da incubo che quasi tutti però sembrano accettare passivamente e con entusiasmo, è quello di fuggire dal villaggio e di scoprire chi è il numero 1.

Nelle intenzioni di McGoohan lo spettatore deve essere stimolato a riflettere e per questo motivo ogni episodio è pieno di enigmi, di sottotracce, di particolari non rivelati, di frasi e dialoghi a volte criptici e il risultato è che a tutt’oggi si discute su molti aspetti dei vari episodi e ci sono molte interpretazioni filosofiche e sociologiche che ruotano attorno a questa straordinaria serie.

Certo non era facile immaginare nel 1967 che le tematiche trattate da “The Prisoner” sarebbero diventate così attuali realizzandosi in molte delle sue intuizioni. La stessa argomentazione di “Un nuovo ordine mondiale” viene trattata in uno degli episodi quando il numero due rivela al numero 6 che “I blocchi contrapposti” delle grandi potenze non esistono più perché trovano più conveniente collaborare e ci si avvia a un modello di vita globale come quello del “Villaggio”.

Il Villaggio.

Il villaggio non è un set cinematografico; esiste veramente e si chiama: Portmeirion. Fu progettato dall’architetto Sir Clough Williams-Ellis e costruito tra il 1925 e il 1972 nel Galles del Nord. Diventato famoso grazie alla serie del prigioniero è a tutt’oggi meta turistica e di pellegrinaggio; fu anche utilizzato come rifugio da personaggi come: Bertrand Russel e George Bernard Shaw. McGoohan lo trovò perfetto per la serie: apparentemente quieto, bizzarro come un paesaggio di Alice, era il paese dei puffi trasformato in un lager Hi-Tech; un’apparenza idilliaca in cui esiste un microcosmo che genera una moda tutta sua, una moneta chiamata: “Unità di Credito” (sempre la tematica di un potere centralizzato che gestisce tutto, anche la moneta), un linguaggio particolare, un saluto con un cenno della mano (forse ripreso da un antico rituale cristiano).

Le forze oscure che controllano tutto e tutti dispongono di una tecnologia fantascientifica tra cui il “Rover”, una sfera bianca che emette un rumore assordante e semina il panico inseguendo e a volte uccidendo i fuggitivi o i dissidenti.

Oltre a Patrick McGoohan, l’unico altro personaggio sempre presente in ogni episodio è il nano-maggiordomo fedele servitore del numero 2 e interpretato da Angelo Muscat. Questo personaggio rappresenta l’uomo comune che nella società è sempre pronto a servire, eseguire ciecamente gli ordini ed aggregarsi al branco.

Per chi ancora non li avesse visti, raccomandiamo caldamente la riscoperta di questi 17 episodi appartenenti a una delle serie più belle mai prodotte per la televisione.

Il misterioso Dan Cooper

Questa è la storia dell’unico dirottamento aereo mai risolto avvenuto in America. Un assoluto mistero rimasto tale che probabilmente, proprio per aver fatto fare la figura dei fagiani all’FBI e alle autorità tutte, non è mai stato portato efficacemente al cinema che, in qualche modo, deve sempre convincerci che il sistema è buono e infallibile.

Nel 1971, in America per compiere un breve volo interno della durata di mezz’ora, era sufficiente dare le proprie generalità senza bisogno di esibire un documento; un po’ come prendere un autobus.

Forse presentarsi come Daitarn 3 o Mandrake avrebbe sollevato qualche sospetto, ma provando con Clark Kent (Alias Superman) o Bruce Wayne (Alias Batman), ci sarebbe stata una buona dose di probabilità di passare inosservati.

Ma per non correre rischi, quel pomeriggio del 24 Novembre 1971, al banco della Nothwest Orient Airlines, all’aereoporto internazionale di Portland nell’Oregon, un uomo distinto si presentò con il nome di Dan Cooper; un pilota ed esperto paracadutista, eroe di una seria a fumetti pubblicata in Canada che, per l’inserviente alla reception, era noto quanto l’indigeno “Orecchie al vento” della tribù dei “Caucciù” sperduta nella macchia Peruviana.

L’uomo si portava appresso una valigetta nera e acquistò un biglietto di sola andata per il volo 305 diretto a Seattle (stato di Washington); un breve trasferimento della durata di circa 30 minuti. Si imbarcò quindi nell’aereo, un Boeing 727-100, uno degli ultimi aviogetti civili ad avere un portello di imbarco situato sotto alla coda dell’aereo (vedi foto). Si accomodò al posto 18C situato nella parte posteriore dell’aereo, si accese una sigaretta e ordinò del Bourbon.

Per tutti i testimoni interrogati, Dan Cooper era un uomo distinto, alto 1,80, indossava un leggero impermeabile nero e vestiva pantaloni e giacca scura, con una camicia bianca ben stirata e una cravatta nera con un fermacravatta di madreperla. Curioso che vista l’epoca e la descrizione, a nessuno venne in mente l’immagine dell’agente segreto 007, alias James Bond con tanto di valigetta segreta divenuta famosa grazia al film: “Dalla Russia con Amore”.

Il volo decollò alle 14:50 e poco dopo, Il misterioso personaggio fece un cenno all’assistente di volo: Florence Schaffner che si avvicinò con un sorriso seducente. Cooper le passò un biglietto e la Schaffner, il cui ego femminile le faceva ripetere tre volte al giorno: “Specchio specchio delle mie brame chi è la più gnocca del reame”, si convinse che fosse un uomo d’affari folgorato dalla sua conturbante bellezza e le avesse passato il suo numero di telefono. Lo ripose quindi in un taschino ma Cooper, avvicinandosi a lei, con modi cortesi e tranquilli le disse: “Signorina, il mondo è pieno di gnocche, farebbe meglio a dare un’occhiata a quel biglietto. Ho una bomba”.

La Schaffner, un po’ seccata dalla sua invisibiltà, controllò il biglietto su cui era scritto: “Ho una bomba nella mia valigetta. La userò, se necessario. Voglio che si sieda accanto a me. State per essere dirottati”. La donna ubbidì sedendosi accanto all’uomo e riconsegnò il biglietto scritto in stampatello su sua richiesta, ma dato che situazioni come quella si verificavano soltanto nei fumetti (nemmeno lei aveva mai letto Dan Cooper), chiese di vedere la bomba.

L’uomo aprì la valigetta quel tanto che bastava per permettere alla donna di intravvedere otto cilindri rossi collegati con dei cavi elettrici a una batteria; a questo punto, sempre con voce pacata e cordiale, dettò le sue condizioni: “duecentomila dollari in valuta americana negoziabile, quattro paracadute (due primari e due di riserva) e un’autobotte pronta a Seattle per il rifornimento dell’aereo all’arrivo”. L’assistente si recò quindi in cabina di pilotaggio informando i piloti e quando tornò si rese conto che l’uomo misterioso aveva cambiato posto e si era posizionato vicino a un finestrino indossando un paio di occhiali da sole. Nel frattempo il comandante William Scott aveva già informato il controllo aereo di Seatlle che a sua volta aveva messo in allarme le autorità locali e l’FBI. I federali, com’è noto hanno la fama di essere i più rognosi di tutti, quelli che non ti lasciano mai scampo.

Donald Nyrop, il presidente della Northwest Orient autorizzò il pagamento del riscatto preoccupato per le ripercussioni che poteva avere quella storia sulla sua compagnia e mentre l’aereo si mise a volare in circolo per circa due ore, il comandante avvisò i 36 passeggeri a bordo che a causa di un problema meccanico minore, ci sarebbe stato un ritardo nell’atterraggio mentre le autorità si adoperavano per mettere assieme il riscatto (200.000 dollari dell’epoca avevano un valore di circa un milione e mezzo di oggi) e i paracadute.

La Schaffner disse che l’uomo conosceva e riconosceva le località guardandole dall’alto; identificò Tacoma e la base militare di Mchord. La donna asserì che non rispondeva a nessuno degli stereotipi del dirottatore; non si era mai mostrato nervoso, teso o aggressivo. Appariva assolutamente tranquillo e padrone della situazione, i suoi modi erano sempre cordiali e garbati, il suo atteggiamento distinto e mai crudele. Forse la Schaffner si sentiva davvero trasportata in un set di 007. Ordinò un secondo bourbon, pagando regolarmente e insistendo per lasciare il resto come mancia, e si offrì per richiedere il pasto per tutto l’equipaggio durante la sosta a Seattle.

L’FBI mise assieme diecimila banconote da venti dollari non segnate ma che per la maggior parte avevano numeri di serie che iniziavano con la lettera di emissione “L”, che indicava la provenienza dalla Federal Reserve Bank di San Francisco, ed appartenevano alla “serie 1969-C”; venne anche fatto un microfilm di ciascuna di esse; erano certi che quel tizio sarebbe caduto presto nelle loro mani e si sarebbe pentito amaramente di aver rubato alle misericordiose banche americane.

A Dan Cooper furono proposti dei paracadute militari ad apertura vincolata offerti dalle autorità che però rifiutò, chiedendo invece dei paracadute civili con sistema di apertura manuale, che la polizia di Seattle ottenne da una scuola di paracadutismo locale. Alle 17:24 Cooper venne informato che le sue richieste erano state soddisfatte e alle 17:39 l’aereo atterrò a Seattle-Tacoma. Il dirottatore ordinò al comandante Scott di far rullare l’aereo in una pista isolata e di spegnere le luci in cabina per scoraggiare i cecchini della polizia. Al Lee, Operations Manager della Northwest Orient di Seattle, si avvicinò al velivolo in abiti civili, per evitare la possibilità che Cooper potesse scambiare la sua uniforme della compagnia aerea per quella di un agente di polizia, e consegnò all’assistente di volo Mucklow uno zaino con il denaro e i paracadute attraverso la scaletta di poppa. Una volta ottenuti i soldi ed i paracadute, Cooper consentì a tutti i 36 passeggeri, alla Schaffner e all’assistente di volo senior Alice Hancock di lasciare tranquillamente l’aereo.

Mentre attendeva il rifornimento Cooper illustrò il suo piano di volo all’equipaggio dimostrando una notevole conoscenza degli aereomobili e delle pratiche di volo; chiese ai piloti di seguire una rotta da sud-est verso Città del Messico alla minima velocità tale da evitare di fare andare in stallo l’aereo che equivaleva a circa 157 nodi, ossia 290 km/h (ogni aereoplano ha una sua velocità minima di sostentamento) e a un massimo di 10.000 piedi (3.000 metri) di altitudine. Per garantire una velocità minima, specificò che il carrello avrebbe dovuto rimanere esteso e gli ipersostentatori alari abbassati di quindici gradi. Per consentire il volo a quella quota, considerata bassa per un Jet passeggeri, ordinò che la cabina rimanesse depressurizzata. Il copilota William Rataczak informò Cooper che con quella configurazione di volo l’autonomia del velivolo sarebbe stata di circa 1.600 chilometri, il che significava che avrebbero dovuto rifornire ancora prima di entrare in Messico: Cooper e l’equipaggio discussero le opzioni e concordarono di eseguire il rifornimento a Reno. Cooper chiese infine che l’aereo decollasse con la porta d’uscita posteriore aperta e la scaletta estesa, ma la Northwest si oppose, ritenendo che fosse pericoloso; Cooper replicò che invece non esisteva pericolo e l’aereo avrebbe potuto decollare in sicurezza, ma non volle discutere la questione e accettò il decollo con il portellone posteriore chiuso.

Alle 19:40 il Boeing decollò con a bordo solo Cooper, i due piloti Scott e Rataczak, l’ingegnere di volo Anderson e l’assistente di volo Mucklow. All’insaputa di tutti, due caccia F-106, decollati dalla vicina base di McChord, si avvicinarono all’aereo ed iniziarono a seguirlo posizionandosi sopra e sotto il velivolo, fuori dalla vista di Cooper. Dopo il decollo Cooper disse a Mucklow di unirsi al resto dell’equipaggio nella cabina e di rimanere lì con la porta chiusa.

Dopo pochi minuti, alle 20:00 in cabina di pilotaggio si accese la spia luminosa che indicava che l’apparato della scaletta di coda era stato attivato. Il comandante attivò l’interfono offrendo assistenza a Cooper ma questi rispose che andava tutto bene e di non muoversi dalla cabina.

Un cambiamento di pressione dell’aria, indicò all’equipaggio che il portello posteriore era stato aperto. Alle 20:13 la sezione di coda del velivolo subì un movimento improvviso verso l’alto, abbastanza significativo da richiedere un intervento sui comandi per riportare il 727 in volo livellato. Per circa due ore non si seppe più nulla di ciò che accadde a bordo; i piloti restarono chiusi in casbina e alle 22:15, il Boeing atterrò all’aeroporto di Reno con la scaletta di poppa ancora abbassata. Agenti dell’FBI, membri della polizia di Stato e personale dello sceriffo circondarono il velivolo per determinare se Cooper fosse ancora a bordo, ma un’accurata ricerca confermò che l’uomo aveva abbandonato il velivolo. Le sue tracce rimaste a bordo furono la sua cravatta, il suo fermacravatta, otto mozziconi di sigaretta, due dei quattro paracadute richiesti e delle impronte digitali mai ricollegate a qualcuno.

L’FBI era furibonda per essere stata fregata; avevano fatto la figura dei babbei. Tutti ritenevano impossibile un lancio con il paracadute in quelle condizioni; al buio, sotto a una pioggia battente e con venti in quota molto forti. Nemmeno un paracadutista esperto aveva grosse possibilità, specialmente vestito a quel modo, senza calzature adeguate, lanciandosi sopra una zona boscosa. Per molti inquirenti il misterioso Dan Cooper poteva benissimo essere morto dopo il lancio.

Iniziarono ricerche massicce e capillari; venne setacciata non solo la zona del presunto atterraggio ma anche tutta la vastissima area circostante ma Dan Cooper si era volatilizzato con i 200,000 dollari. Negli anni l’FBI identificò quasi 1000 sospettati; indagati e poi abbandonati progressivamente. Il rodimento di sedere doveva essere alle stelle, nel frattempo si moltiplicavano anche i mitomani che asserivano di essere Dan Cooper; più tempo passava e più questa storia assumeva i caratteri del mito e della leggenda. Nel 1980, nove anni dopo i fatti, un bambino di otto anni ritrovò sulle sponde del fiume Columbia circa 5.800 dollari in tre pacchetti di banconote da venti (uno con novanta banconote e gli altri due con cento banconote), notevolmente deteriorate. I tecnici dell’FBI confermarono che il denaro era effettivamente una parte del riscatto e che le banconote erano tutte disposte nello stesso ordine di quando furono consegnate a Cooper. Venne setacciata nuovamente tutta la zona alla ricerca delle altre banconote o del corpo dell’uomo misterioso ma inutilmente.

Quelli dell’FBI sono dei segugi e non mollano; sopratutto non possono proprio digerire che qualcuno la faccia franca sotto al loro naso; ma alla fine, dovettero alzare bandiera bianca. 45 anni dopo, Il 12 luglio del 2016 l’ente investigativo della polizia federale americana disse che dopo aver interrogato centinaia di persone, individuato oltre 800 sospetti, seguito ogni tipo d’indizio in giro per tutti gli Stati Uniti e aver speso una montagna di soldi dei contribuenti, chiudeva il caso. Dan Cooper resterà per sempre un mito e l’eroe gentiluomo che riuscì a fregare il sistema.

Noi, con un missile nel cervello

VIP mio fratello superuomo (id 1968)

  • genere: Animazione
  • regia: Bruno Bozzetto
  • interpreti: Oreste Lionello, Lydia Simoneschi, Pino Locchi, Corrado Gaipa
  • produzione: Bruno Bozzetto
  • giudizio: Imperdibile

recensione pubblicata originalmente il 11/09/2018

In due parole

Feroce e attualissima satira sui persuasori occulti, i massmedia e il conformismo che appiattisce le coscienze; si ride, e a patto di avere un paio di neuroni funzionanti, si riflette.

Recensione

La violenta sterzata propagandistica del cinema hollywoodiano “in toto” che continua a sfornare ciofeche prive di contenuto ma efficaci nel diffondere il pensiero unico e i nuovi valori della “New Age” schiavista è evidentemente efficace a giudicare dal livello di sottomissione del popolo, che ride in modo ebete di una violenza sempre più efferata e grafica non accorgendosi che gli stanno smantellando tutti quei diritti costituzionali che permetteranno poi di spostare quella violenza dalla virtualità dello schermo al mondo reale.

E’ in realtà già accaduto, dove “l’innocua” moda di videogames (con il mantra: ma è soltanto un gioco) iperviolenti ha talmente anestetizzato le menti che oggi si accetta tranquillamente che dei padri di famiglia possano andare in ufficio e giocare a un videogame che, a tremila chilometri di distanza ammazza la gente per davvero (vedi l’ottimo DRONE di Jason Bourque). Si vede la morte attraverso uno schermo e non si è più in grado di distinguere i pixel dal sangue e dalla sofferenza.

E mentre anche da noi, la maggioranza del popolo si appresta ad accettare con un sorriso trionfale sulla bocca e un “missile nel cervello”, provvedimenti che porteranno la violenza nelle loro case e nelle loro famiglie, può essere utile rispolverare un vecchio film, capace di spingerci a riflettere con un sorriso.

Bruno Bozzetto, personaggio di straordinaria umiltà, realizza: “VIP mio fratello superuomo” nel lontano 1968; subito dopo il successo di un altro suo classico: “West and Soda”; ma a differenza del precedente film dove Bozzetto gioca con la sua passione per il western, qui decide di parodiare un argomento che conosce bene: la pubblicità.

Il suo studio di animazione ha infatti all’attivo molti lavori per il settore pubblicitario ma ciò che esce dal suo lungometraggio va ben oltre la semplice parodia. E’ un’acuta riflessione che a distanza di 50 anni è ancora attualissima; sono presenti tematiche importanti come l’emarginazione dei più deboli, la creazione del consenso da parte dei media e la cancellazione dei diritti dei lavoratori da parte delle multinazionali venduti come “miglioramento delle condizioni” degli stessi. Straordinaria la visita guidata alla fabbrica di Happy Betty e strepitosa la sequenza delle toilette.

Il film è molto divertente, ricco di trovate geniali; ma ci sono momenti in cui il confine tra divertimento e inquietudine si fa sottile come nel bellissimo brano musicale di Franco Godi e Herbert Pagani: “Metti un tigre nel doppio brodo” che attraverso gli slogan pubblicitari dell’epoca rimescolati in un nonsense che palesa tutta l’alienazione del popolo, si avverte la realtà orwelliana della nostra società.

Vip, il superuomo è stato inserito a progetto iniziato per volere dei produttori americani che avevano contribuito a finanziare il film ma Minivip, il fratello senza poteri, è il vero protagonista della storia; è l’antieroe per eccellenza. Un personaggio fantozziano che grazie alla sua umanità e inadeguatezza, risolve le situazioni più difficili.

Pellicole come questa dovrebbero essere preservate e diffuse alle nuove generazioni come antidoto al rincoglionimento di un cinema ormai sempre più stupido e violento anche e sopratutto nella sua versione per ragazzi.

P.S. per chi trovasse difficoltà ad orientarsi tra gli slogan della canzone: “Metti un tigre nel doppiobrodo”, nel video qui sotto trovate gli spot originali per decifrare il brano che potete visualizzare alla fine..

L’incredibile avventura di Charlie Brown

I tedeschi erano per tutti dei diavoli; unni feroci assestati di sangue che bevevano nei teschi delle loro vittime, infilzavano i bambini con le baionette e commettevano ogni genere di atrocità e crudeltà che mente umana potesse concepire. D’altra parte è vero che il nazionalsocialismo coinvolse un’intera nazione ma è anche vero che non tutti i tedeschi erano nazisti. La propaganda si sa, tende ad annullare le differenze e in questo caso era necessario odiare un intero popolo e desiderarne l’estinzione; in fondo anche i nazisti volevano cancellare un popolo dalla faccia della terra e sottomettere tutti gli altri. Ciò che i film di Hollywood non ci hanno raccontato è che per i soldati tedeschi, gli alleati erano allo stesso modo autentici demoni, bestie feroci e senza pietà, specialmente i piloti dei bombardieri che incessantemente scaricavano tonnellate di morte sopra la Germania senza preoccuparsi se quelle bombe finivano, oltre che sulle industrie, anche negli ospedali, nelle scuole e sui centri abitati. Una mattanza quotidiana che provocava perdite inutili e disastrose da ambo le parti. Durante la seconda guerra mondiale poi, non avevano nemmeno la scusa delle bombe intelligenti, che pur esistendo in epoca moderna provocano sempre milionate di morti tra i civili come ha insegnato il conflitto Irakeno. In ogni guerra il nemico non è soltanto quello che sta dall’altra parte della strada, è la rappresentazione stessa del male ed è utile per assolvere le anime di chi lo affronta. Come si potrebbe altrimenti uccidere un proprio simile se si pensasse anche soltanto per un minuto che è uguale a te, vive le tue stesse problematiche, condivide le tue stesse preoccupazioni, i tuoi stessi dubbi… Si pone le tue stesse domande, ama i suoi figli, la sua compagna… I primi americani che videro un soldato tedesco morto da vicino, rimasero sconvolti nel leggere che sulla fibbia della cintura era scritto: “Dio è con noi”… Come era possibile? Non erano figli di satana? In guerra non si affrontano mai uomini, soltanto bestie feroci, e nel caso non bastasse c’è sempre la bandiera e il patriottismo da preservare anche se, come disse qualcuno, si tratta dell’ultimo rifugio dei vigliacchi e dei mediocri.

Charlie Brown quel giorno di dicembre del 1943 non si stava trascinando dietro la sua copertina rassicurante, e non aveva nemmeno snoopy ad aspettarlo sul tetto della sua casetta mentre sognava di impersonare il Barone Rosso.

No, quel giorno Charles “Charlie” Brown aveva ventuno anni ed era al comando di un bombardiere B17 (una fortezza volante) che stava decollando dall’aeroporto di Kimbolton situato in Gran Bretagna per la sua prima missione. Il secondo tenente Charlie Brown aveva sotto alla sua responsabilità nove uomini di equipaggio e dato che era un novellino con un’ampia dose di probabilità che quella fosse la sua prima e ultima operazione militare, gli venne assegnata la posizione più pericolosa nella grande formazione di bombardieri che si stava dirigendo verso Brema. La posizione chiamata: Purple Heart Corner (L’angolo della Purple Heart Ndr), dal nome della decorazione che viene assegnata a chi viene ferito o cade in battaglia; decisamente un augurio rassicurante per un ragazzo di 21 anni che si stava affacciando alla vita e che in quel momento doveva certamente conoscere il significato della paura.

Le perdite tra i bombardieri americani erano sempre più drammatiche ma i bombardamenti si intensificavano mandando allo sbaraglio piloti sempre più giovani e inesperti; dall’altro lato del fronte nemmeno i tedeschi potevano stare allegri, le vittime di queste incursioni erano incalcolabili e Amburgo era stata praticamente incenerita. La propaganda infuriava da ambo le parti e per i tedeschi, i piloti americani erano simili ai cavalieri dell’apocalisse; non abbattere un bombardiere era considerato alto tradimento.

La fortezza volante di Charlie Brown, carica di bombe e battezzata “Ye Olde Pub”, venne colpita dalla contraerea prima di raggiungere il suo obiettivo; ci furono squarci sulla fusoliera, un motore perse potenza, un altro si mise a funzionare male ma il B17 era un aereo robusto, progettato per resistere; Brown non si perse d’animo e riuscì a portare il bombardiere sopra al suo bersaglio sganciando il suo carico mortale. Il problema era tutt’altro che risolto, il pesante quadrimotore era danneggiato, i motori non garantivano più la piena potenza e questo significava non riuscire a rimanere nel gruppo con gli altri bombardieri che si difendevano a vicenda. Lo “Ye Olde Pub” rimase indietro e si trovò isolato e questa eventualità era ben conosciuta da tutti gli aviatori perché aveva un unico significato: quello di trovarsi come un animale ferito lontano dal branco, vittima sacrificale dei predatori in agguato. Le probabilità di tornare indietro sani e salvi si erano improvvisamente azzerate con la consapevolezza di tutto l’equipaggio.

E infatti i caccia tedeschi non tardarono ad arrivare; i potenti Messerschmitt Bf 109 si avventarono come falchi affamati sulla preda. L’attacco durò 10 interminabili minuti in cui il B17 tentò di difendersi riuscendo a danneggiare due caccia ma venne squarciato in più punti, il timone di coda devastato, l’impianto dell’ossigeno distrutto così come quello idraulico ed elettrico. Anche il terzo motore venne pesantemente danneggiato; sei uomini vennero feriti più o meno gravemente e un ragazzo, il mitragliere di coda, sergente Hugh “Ecky” Eckenrode venne ucciso dalle raffiche dei caccia. Senza più ossigeno Charlie Brown perse conoscenza e il bombardiere, senza più controllo iniziò a precipitare in picchiata. Soddisfatti, i falchi abbandonarono la caccia e si allontanarono.

Forse Charlie Brown sognava la sua coperta ad accarezzargli la guancia, o forse sognava il suo cane che lo guardava spesso con sguardi indecifrabili… O forse, sognava semplicemente di essere a casa, incontrare una ragazza, farci l’amore, ballare… A 3000 metri di altitudine riprese conoscenza; l’aria entrava prepotente dagli squarci del bombardiere, il suolo si stava avvicinando troppo velocemente, i comandi non rispondevano, c’era un solo motore completamente efficiente e lo schianto sembrava ormai inevitabile. Forse con l’aiuto di una preghiera, forse con la sola forza della disperazione, tirò a sé la Cloche in uno sforzo sovraumano; diede una botta al copilota per svegliarlo e in qualche modo, forse per un miracolo, riuscì a raddrizzare l’assetto dell’aereo a 600 metri dal suolo. Non era finita, stavano ancora sul suolo tedesco; prima di arrivare al mare c’era lo sbarramento dell’antiaerea a guardia delle coste e dopo, due ore di volo sulle gelide acque del mare del nord. Charlie Brown chiese ai suoi uomini se desideravano lanciarsi con il paracadute, lui avrebbe tentato di riportare l’aereo a casa… Tutti sapevano che probabilmente non ce l’avrebbero fatta, ma molti erano feriti e malconci… Alla fine nessuno si lanciò.

Il tenente Franz Stigler, 28 anni, era un autentico asso della Luftwaffe; da sempre appassionato di volo era diventato pilota civile per la Lufthansa prima di arruolarsi come pilota di caccia. Suo fratello, anche lui pilota, aveva perso la vita durante la terribile battaglia aerea d’Inghilterra e Franz, voleva onorare la memoria del fratello conquistando la prestigiosa medaglia chiamata “La croce del cavaliere”. Gli mancava una sola vittoria, un solo altro abbattimento per ottenerla. Franz Stigler non si era mai iscritto al partito nazista.

Stigler era appena atterrato all’aereoporto di Jever, doveva rifornire e riarmare il suo aereo che aveva preso un colpo nel radiatore. Mentre è in attesa, fumandosi una sigaretta, avverte, assieme ai meccanici e al personale dell’aereoporto un rombo sordo in rapido avvicinamento. All’improvviso e sotto agli sguardi stupiti e increduli di tutti, il B17 di Charlie Brown spunta da sopra le cime degli alberi sorvolando l’aereoporto e trascinandosi dietro le scie di fumo e olio dai motori danneggiati nel disperato tentativo di riprendere quota.

Stigler corre verso il suo BF 109, mette in moto e decolla senza pensarci due volte. Bertrand “ Frenchy” Coulombe che prendeva posto nella torretta difensiva sopra la fusoliera del B17 fu il primo ad avvistare il caccia tedesco in rapido avvicinamento; tentò di avvisare il comandante ma la radio non funzionava. Stigler davanti a sé vedeva l’agognata croce del Cavaliere e si preparava a conquistare l’ambito premio. La sua formazione era avvenuta in Africa nel JG 27, (il ventisettesimo stormo caccia), un reparto di veri assi dell’aviazione che avevano un loro codice d’onore: rispetta le regole, rispetta te stesso, rispetta il nemico, mantieni la tua umanità, risparmia chi è indifeso. L’allora suo comandante di stormo, il tenente Gustav Roedel, glielo aveva detto senza mezzi termini: “Se spari a chi si è lanciato con il paracadute, o se sento dire che lo hai fatto, io sparo a te”.

Stigler si portò in coda al B17, il dito sul grilletto pronto a fare fuoco ma stranamente, nessuna reazione dal bombardiere; il mitragliere di coda non stava sparando. Avvicinandosi, Franz Stigler capi perché; vide Ecky Eckenrode inerme e coperto di sangue. Allora decise di affiancare il bombardiere e impallidì nel vedere i gravi danni che aveva subito. Attraverso gli squarci nella fusoliera vedeva alcuni uomini che tentavano di prestare soccorso ai feriti, era un miracolo che quell’ammasso di ferro martoriato fosse ancora in volo. Stigler tolse il dito dal grilletto e si posiziono a fianco del B17, vicino alla cabina di pilotaggio.

Charlie Brown lo vide all’improvviso spaventandosi a morte; il pilota tedesco gesticolava tentando di comunicare qualcosa, faceva cenni con le mani indicando all’aereo di scendere. Tentava di dirgli che non potavano farcela in quelle condizioni; erano nelle vicinanze della neutrale Svezia, li avrebbero potuto ricevere cure. Stigler indicava la direzione ma Charlie Brown non capiva, voleva raggiungere il mare. Stigler prese atto delle intenzioni dell’americano e sapeva che in pochi secondi si sarebbero trovati sopra la contraerea costiera; si avvicinò il più possibile al bombardiere e lo scortò.

Il comandante della batteria contraerea costiera vide il B17 avvicinarsi con al suo fianco un BF 109 e probabilmente si chiese cosa diavolo stesse succedendo. Certo non poteva rischiare di abbattere un suo aereoplano e ordinò alle batterie di non aprire il fuoco. Giunti sul mare sani e salvi, Stigler fece ancora un tentativo per indicare la Svezia ai piloti Americani… Ci fu un lungo sguardo tra lui e Charlie Brown.

Franz Stigler salutò i piloti, invertì la rotta e tornò a casa mentre diceva: “Ora siete nelle mani di Dio”

Charlie Brown e il suo equipaggio rientrarono in territorio alleato e si salvarono tutti ad eccezione di Hugh “Ecky” Eckenrode. Quando fece rapporto, a Bown fu ordinato di mantenere il silenzio e di non farne parola con nessuno; alla propaganda non faceva bene un gesto di umanità da parte di un Tedesco. Secondo il comando alleato nulla del genere era mai accaduto.

Franz Stigler, nel 1953 emigrò in Canada e iniziò una sua attività e negli anni successivi Charlie Brown si chiese se la sua avventura fu soltanto partorita da un sogno. Nel 1986, ricordò l’episodio ad un evento dedicato ai piloti militari chiamato “Gathering of the Eagles” presso l’Air Command and Staff College di Maxwell in Alabama. La commozione nel raccontare quell’evento lo convinse che avrebbe dovuto ritrovare quel pilota tedesco e ringraziarlo di persona.

Lo rintracciò dopo 4 anni di ricerche, nel 1990 e tra i due nacque una profonda amicizia che terminò soltanto per la morte dei due, avvenuta a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro nel 2008.

Charlie Brown e Franz Stigler, due uomini che né la propaganda né l’odio, né la paura, hanno saputo corrompere.

Nel 2022, un appassionato di computer grafica realizza un emozionante cortometraggio che ricostruisce la vicenda. Potete vederlo qui:

La ricostruzione del Stigler-Brown Incident

11 settembre: professori cercansi

(Articolo originariamente pubblicato su Luogocomune il 16/3/2014)

Nella serata del 14 marzo si è svolta, grazie alla disponibilità e all’interessamento del responsabile del circuito cinema del Comune di Venezia, Roberto Ellero, la proiezione dell’ultima fatica di Massimo Mazzucco: “11 Settembre la nuova Pearl Harbor”

Un grande e sentito ringraziamento lo rivolgo al già citato Roberto Ellero, a Davide Terrin della sala Pasinetti nella quale è stato proiettato il film, a Giancarlo Ghigi del CZ Giudecca e a tutte le persone che mi hanno aiutato in questo evento.

Questa proiezione è stata preparata con largo anticipo e prevedeva la presenza in sala del regista Massimo Mazzucco, del senatore Felice Casson e del giornalista Tom Bosco, che avevano offerto la loro disponibilità a un dibattito per il pubblico che sarebbe certamente stato di grande interesse, visti i notevoli trascorsi del senatore Casson che da magistrato aveva seguito molte inchieste scomode ed è certamente persona preparata su argomenti simili. Sono state inviate inoltre circa 35 mail ad altrettanti giornalisti di vari quotidiani, invitandoli all’evento.

Purtroppo una sequenza impressionante di circostanze avverse ha rischiato di vanificare tutto il lavoro svolto; Mazzucco si è preso una bronchite che lo ha lasciato senza voce e nell’impossibilità di viaggiare, il senatore Casson ha fatto sapere all’ultimo momento che non ce la faceva a rientrare da Roma in tempo, e Tom Bosco è stato impedito da precedenti impegni. Come se non bastasse, nessuno dei 35 giornalisti invitati si è presentato.

Con un certo sconforto, dopo tanto lavoro fatto, mesi a tenere la corrispondenza con la segreteria del Senatore, e con tutte le altre persone coinvolte, mi sono recato alla proiezione nella speranza di vedere almeno due gatti entrare in sala.

La sorpresa, devo dire, è stata piacevole; la partecipazione è stata buona …

… e la sala ha lasciato pochi posti liberi. Dopo una generale delusione che è stata espressa dal publico in modo composto ma sentito, all’annuncio della mancanza dei relatori e del regista, ho introdotto brevemente il film e siamo passati alla proiezione.

3 ore e un quarto non sono certo poche, la quantità impressionante di informazioni esibite nel film spiazzerebbe chiunque, in sala si sentivano spesso dei versi di sorpresa e di disappunto quando venivano rivelate certe informazioni o ascoltate certe dichiarazioni; il pubblico era molto attento.

Alla fine un applauso e la gente che inizia ad uscire. Sto per avviarmi anch’io verso l’uscita ma vengo fermato da un tizio che stava seduto dietro di me e che aveva preso appunti in diversi momenti facendomi inizialmente pensare che fosse l’unico giornalista presente.

“Non avete dei DVD con la versione da 5 ore?” Chiede… “No”, rispondo, “Avrebbe dovuto portarli il regista…”

Intanto mi si avvicina: “Posso farle una domanda?”

“Certamente”

“I miei complimenti per il film, ne ho visti parecchi su questo argomento, anzi credo di averli visti tutti, da Loose Change a Zero, ma un film che raccogliesse tutti questi fatti presentandoli a questo modo non lo avevo mai visto… Non conoscevo ad esempio la storia dell’amianto sulle torri gemelle, ma c’è qualche rete televisiva che ha acquistato il film? Sarà possibile vederlo anche in altri circuiti?”

Prima che potessi rispondere, arriva una voce da fondo sala: “Scusate, potreste far sentire anche a noi?”

Era un gruppo di persone che non era uscito e aveva evidentemente tutta una serie di domande.

La cosa che mi ha colpito è che tutti gli interlocutori erano persone molto preparate su varie tematiche anche di politica internazionale; individui informati, e con uno spiccato spirito critico e decisamente una vasta cultura. Scoprirò poco dopo che uno di essi è un professore di filosofia all’università.

In breve si è creato un dibattito spontaneo tra queste persone e sono emerse tutta una serie di considerazioni molto interessanti.

Un senso di impotenza è emerso verso quei sistemi di potere che di fatto possono far accadere eventi come l’11 settembre o manipolare tutte le rivoluzioni colorate o le primavere arabe; argomenti che sono stati introdotti e di cui si è discusso.

Ma anche un appello sentito che è venuto da tutti i presenti: “Bisognerebbe trovare dei professori aperti e disponibili cui proporre proiezioni di questo tipo nelle scuole per far crescere il dibattito e la consapevolezza.”

Una considerazione interessante che è stata proposta riguardava proprio internet. E’ stato suggerito che possa rappresentare l’ultimo stadio, la fine di tutto, della presenza e dell’attivismo, della socializzazione tra le persone, L’ultima frontiera in termini di controllo e manipolazione, è stato citato Orwell: “Lo ha letto?” chiede un professore… “Certamente” rispondo, e i modi pacati e colti in cui argomentava le sue considerazioni mi hanno imposto una seria riflessione.

Alla fine, esco con una sensazione piacevole nel cuore: è vero, c’è tanta indifferenza, mancavano i giovani, viviamo in tempi bui, ma ci sono ancora persone che sanno vivere civilmente, dialogare in modo normale e non a parolacce come ci ha insegnato la tv; persone che sanno argomentare, che hanno uno spirito critico, che sono collaborative, che capiscono l’importanza di una stretta di mano e di uno scambio umano…

Alla fine, non è andata poi così male.

Music Band

La Tempesta Perfetta

(articolo originalmente pubblicato nel 2013)

In certe culture antiche come ad esempio quella dei nativi americani si credeva che mangiando il cuore del bisonte dopo averlo ucciso e adeguatamente ringraziato per il suo sacrificio, si trasferisse nel proprio corpo il coraggio e la conoscenza stessa di quel bisonte.

La scienza oggi ha dimostrato come le emozioni abbiano degli effetti nella biochimica del corpo arrivando al punto di provocare la malattia. Quando andai ad intervistare il Dr. Filippo Ongaro nella sua clinica trevigiana, rimasi affascinato dal reparto psicologia dove trovavano posto dei computers con avanzati software in grado di registrare tutto quello che avveniva a livello biologico quando il soggetto testato provava “emozioni” di qualsiasi tipo; dalla paura, all’ansia, alla felicità e via dicendo.

In diversi esperimenti sociali si è anche visto come le emozioni forti sono trasmissibili, quasi per contagio a una massa di persone. Paura, rabbia o calma, rilassamento etc. sono stati interiori percepibili all’esterno da altri; ma non solo percepibili, provocano altre reazioni emotive in chi li sente. Esattamente come il cane diventa più aggressivo quando sente nell’altro la paura.

A questo punto non mi riesce poi così strano o assurdo pensare che quando mangio una bistecca, oltre a ingoiare una pericolosa quantità di antibiotici, vaccini e ormoni che vengono somministrati all’animale per impedirgli di soccombere e crescere più in fretta in questi allevamenti intensivi che rappresentano una vera follia in terra (chi ha visto almeno uno dei numerosi documentari girati al loro interno sa di cosa sto parlando), porto dentro al mio corpo anche il terrore, la paura e la sofferenza che quell’animale ha provato. Non è un pensiero fantascientico, non al giorno d’oggi e con le conoscenze di cui si dispone.

Oltre a tutto questo, che sarebbe già troppo, c’è da considerare il mangime che viene dato a questi animali e che non ha nulla a che vedere con ciò che questi animali in natura dovrebbero mangiare. Alle mucche, ad esempio, che sono erbivore, vengono somministrate proteine animali tra cui mangimi a base di pesce. Anche negli allevamenti di pesce finiscono mangimi animali che in natura i pesci non assumerebbero mai (vedere a titolo di esempio il caso dei pulcini maschi).

Già tutti questi elementi sarebbero sufficienti a rendere insensato l’eterno dibattito tra onnivori, vegan e vegetariani; ma evidentemente la forza della propaganda è tale che un gran numero di persone è ancora convinta che l’uomo abbia bisogno di carne rossa per la sua salute e chiunque si dichiara vegetariano o vegan è un maniaco fondamentalista che appartiene a una qualche setta di sciroccati (alcuni si rendono onestamente ridicoli ma al solito le etichette fanno comodo per sparare nel mucchio).

E questo nonostante la letteratura scientifica e quella medica abbondi ormai di ricerche che dimostrano quanto dannose siano per il nostro organismo tutta una serie di proteine animali e come siano correlate con l’incidenza di tumori e malattie degenerative.

Se la ricerca scientifica ha raggiunto da parecchi anni dei risultati concreti e incontrovertibili, per quale motivo circolano un gran numero di “nutrizionisti” che tendono a imbottirti di latte e formaggio o che per farti dimagrire ti forniscono addirittura diete a base di sola carne? Certo dimagrisci ma nessuno ti informa sulle ripercussioni che una dieta simile avrà sulla tua salute. Forse perchè abbiamo ancora in testa il concetto che magro significa automaticamente: “In salute”?

In parte lo spiega lo stesso Dottor Ongaro: racconta infatti che durante l’università gli venivano insegnate certe regole alimentari che poi scoprirà sul campo, nei lunghi anni trascorsi con i medici aerospaziali russi e poi alla Nasa, essere del tutto infondate ma non solo; anche decisamente errate come quelle legate al consumo di calorie.

Mi sembra ovvio che l’industria del cibo, essendo potente, con i suoi interessi possa manipolare la diffusione di informazioni al fine di sostenere l’immenso indotto che produce. Ma è anche vero, che aldilà di qualsiasi posizione fideistica o di stampo religioso, sarebbe sufficiente avvicinarsi alla ricerca scientifica, quella vera, per scoprire come stanno le cose veramente.

Purtroppo, accade spesso che i migliori guardiani del sistema siamo noi stessi e l’incapacità che in certe occasioni abbiamo di vedere il quadro generale concentrandoci soltanto nei dettagli ci impedisce di comprendere l’effetto domino che le nostre scelte o il nostro sistema provoca.

Un quadro generale ben illustrato dal video qui sotto.

VIDEO INTERVISTA al Dr. Filippo Ongaro

La finestra di Overton

  • titolo: The Accountant (id – 2016)
  • genere: Azione/Thriller
  • regia: Gavin O’Connor
  • interpreti: Ben Affleck, John Lithgow, Anna Kendrick, J.K. Simmons
  • produzione: Warner Bros
  • giudizio: Subdolo

In due parole

Buoni sentimenti conditi con ultraviolenza, bipensiero e neolingua. Come Hollywood asfalta i cervelli.

Recensione:

(Premessa)

Come rendere accettabile l’inaccettabile. La finestra di Overton (o Overton Window) è una tecnica di ingegneria sociale che prende il nome dal suo ideatore Joseph P. Overton 1960-2003.

Overton mise a punto uno schema a “finestre” nel quale possiamo posizionare delle idee.1Un’idea “inaccettabile” dal pubblico come potrebbe essere il cannibalismo (soltanto per fare un esempio), viene inserita nella prima finestra (stadio di idea impensabile).

Secondo Overton, qualsiasi idea, anche la più incredibile ha delle finestre di opportunità. Con opportune tecniche di propaganda o, se preferite, di ingegneria sociale, questa idea può di volta in volta essere spostata in altre “finestre fino a essere resa accettabile ma non solo; fino a diventare addirittura legge.

Per dirla in due parole, si manda un nutrizionista in tv a dire che il cannibalismo in alcune circostanze potrebbe essere una soluzione a determinate problematiche. Altri nutrizionisti o magari lo stesso mondo politico insorge definendo pazzo il personaggio. A questo punto si crea un dibattito e la gente che ha guardato la tv inizia a parlarne al bar anche soltanto per sottolineare la follia o la stupidaggine della tv. Ecco che l’idea inaccettabile di cui nessuno nemmeno discuteva si è già spostata in un’altra finestra; quella dell’idea inaccettabile di cui si discute.

Procedendo per gradi si arriva a far accettare e legalizzare l’idea che nel frattempo è stata innestata nella società:

Lo schema di Overton è il seguente:

1. inconcepibile (inaccettabile, vietato)

2. radicale (vietato, ma con delle riserve)

3. accettabile (l’opinione pubblica sta cambiando)

4. utile (ragionevole, razionale)

5. popolare (socialmente accettabile)

6. legalizzazione (nella politica dello Stato)

“Di cosa parla veramente il film The Accountant”

1989. Centro di neuroscienze ricavato da un grazioso alberghetto in legno, stile rustico, sito in mezzo a boschi e montagne, lontano da occhi indiscreti: praticamente l’overlook hotel di shining. Due genitori con i loro figli, uno autistico e l’altro no, vengono ricevuti nell’ufficio del direttore dell’Overlook, praticamente un moderno Dottor Kildare2; la madre parla con il medico della dolce euchessina mentre nella stessa stanza, giusto per mettere a loro agio la coppia appena arrivata, una bambina ospite della clinica, sbava, grugnisce e ha la stessa compostezza di chi è stato appena morso da una vedova nera. Il fratello sano osserva lo spettacolo con l’espressione di chi ha appena visto Shining; il fratello autistico invece, incurante di ciò che accade attorno alui, compone un puzzle di 15.000 pezzi alla rovescia. Una volta ultimato, il puzzle non rappresenta un paesaggio paradisiaco adatto a rilassare gli animi ma Cassius Clay nell’atto di massacrare il suo avversario. Il pubblico potrebbe chiedersi che altri puzzle ha in serbo il medico per i suoi pazienti.

“Suo figlio è un bambino straordinario” dice il dottor Kildare togliendosi il miele dalla bocca.

“Lei dice?” gli fa eco la madre “In casa si arrampica sui muri se accendo l’aspirapolvere, esce di testa e inizia a picchiare il cane se vede una maglietta color verde acceso, non parla, non mi abbraccia, che diavolo di problema ha esattamente? Mi hanno detto che lei è un esperto”.

“Non mi piacciono le etichette” dice il dottore con il miele che gli cola dalle orecchie evitando di nominare l’autismo (all’inizio del film sarebbe un’etichetta). “E’ evidente che i rumori forti e luci abbaglianti rappresentano un problema per lui, se lo lasciate qui sarà in un ambiente protetto” Continua il medico mentre la bambina tarantolata ha una crisi epilettica e fa il giro completo della testa come nell’esorcista.

Finalmente il padre prende in mano la situazione: “Se gli danno fastidio le luci abbaglianti e i rumori forti, significa che ha bisogno proprio di questo, lo riporteremo a casa e ci penserò io”.

“Lei per caso è stato allievo di Josef Mengele?3

“No, sono il sergente Hartman di full metal jacket”4

“Ancora meglio”

Dissolvenza, oggi: il bambino autistico è diventato un contabile molto ricercato perché la sua capacità di analisi e conteggio ha del sopranaturale; l’unico effetto collaterale del suo lavoro è che ridipinge i muri dei locali dove viene chiamato con formule degne di un astrofisico in crisi di nervi. Ha la faccia di Ben Affleck che avendo la stessa espressività di un lavandino dismesso è adatto alla parte. E non è soltanto un genio, aiuta le famiglie povere in difficoltà e grazie alle sue doti lavora anche per le peggiori e più potenti associazioni criminali del pianeta sistemando la loro contabilità. Questa seconda parte della sua attività include una lieve possibilità di rischio; un cliente insoddisfatto potrebbe infatti gettarlo in acqua con un piedistallo di cemento. Per tutelarsi quindi, il nostro eroe e diventato pure un Ninja, un Terminator, un pilota, l’uomo invisibile e l’incredibile Hulk; ammazza la gente a sangue freddo come fossero moscerini e al confronto Rambo è uno sfigato che fa l’uomo delle pulizie in palestra. E’ imprendibile come Arsenio Lupin e può scomparire nel mondo cambiando identità come Etan Hunt di Mission Impossible Il merito di tutto questo è del padre che, da buon sergente dei marines, lo ha addestrato, assieme al fratello, a cazzotti in bocca. Appare evidente che nessuno ha capito nulla degli autistici: se li arruoli nei marines, guariscono.

L’unico problema del nostro contabile è che se non gli lasci completare un conteggio, rischia di perdere il controllo e sterminare i clienti; per questo si rinchiude in casa lesionandosi l’udito con gli Iron Maiden a volumi capaci di far saltare i timpani a un sordo, e procurandosi una labirintite a furia di luci stroboscopiche; devastandosi poi gli stinchi con una mazza di acciaio. Praticamente con le tecniche di tortura ereditate da Guantanamo. Poi torna sereno e in tutto questo festival della tortura, ciò che ha trasmesso al pubblico è l’intera gamma emotiva del lavandino dismesso.

Nella sua carriera è aiutato da una misteriosa voce femminile che tramite telefono gli fornisce ogni informazione o dato utile. Un’amica che sembra avere accesso ai segreti più reconditi di chiunque e che lo guida nelle sue imprese.

Facciamo poi la conoscenza del direttore del tesoro che sta per andare in pensione e non è mai riuscito a identificare e prendere il misterioso contabile presente in praticamente tutti i casi di criminalità della storia. Allora convoca la migliore analista in forze al suo ufficio che, essendo nera, il pubblico non potrà accusarlo di violenza sulle donne ma certamente di razzismo contro gli extracomunitari, e si presenta così:

“Hai fatto 5 anni alla cia, 3 alla difesa, 2 con gli avengers e 3 con gli x-men; hai risolto i casi più intricati, smascherato i mascherati e adesso sei qui al tesoro; perché non hai mai accettato la promozione e sei diventata un agente operativo?”

“Mi piace di più fare l’analista”

“Sei una troia bugiarda e infame, da giovane sei stata arrestata, hai picchiato un bianco, hai fatto il riformatorio e hai mentito sul tuo passato”

Lacrime

“Scegli: o fai l’analista per me e mi risolvi questo caso, o faccio uscire il tuo passato e ti mando dritta in galera”. (non si comprendono bene le minacce dato che la donna è alle sue dipendenze ma evidentemente questo è l’american style, e di questi tempi è meglio sottolineare come vanno trattati i sottoposti).

Il resto del film è:

lui viene coinvolto nell’ennesima operazione criminale, salva la sfigata di turno che si ritrova in mezzo a un casino per puro caso e che si innamora di lui; ammazza tutti come terminator, ritrova il fratello che lavora come esperto di difesa e lo saluta dandogli appuntamento per una bevuta subito dopo aver sterminato tutti i suoi uomini, l’analista riesce a smascherare il contabile ma a quel punto il direttore del tesoro fa una confessione: una donna misteriosa al telefono (la stessa che aiuta il contabile) gli ha fornito tutte le dritte che gli hanno permesso di fare carriera e adesso che andrà in pensione toccherà a lei prendere il suo posto (dopo le minacce e gli insulti razzisti quindi, promossa a vivere da ipocrita come il suo capo). Il lavandino dismesso ovviamente sparisce nel nulla dopo aver regalato un “pollock” (tra le altre cose era pure un esperto di arte) alla sfigata che non può trombare perché deve darsi alla macchia.

Arriva il gran finale:

Siamo tornati alla clinica del dottor kildare ormai vecchio come tutankamen, una nuova coppia di genitori porta al suo cospetto il figlio ed è qui che si palesa la finestra di Overton:

“Nostro figlio non parla, è come fosse sparito, gli serve aiuto, speravamo recuperasse ma non è successo”

“In questo paese viene diagnosticato un caso di autismo a un bambino su 68”

Il medico finalmente nomina apertamente l’autismo e snocciola un dato esatto, peccato si dimentichi di aggiungere che questa statistica è stata resa nota dai cdc degli stati uniti nel 2014 che, se confrontata con quella del 1980 si evidenzia che veniva diagnosticato un caso di autismo ogni 10.000 bambini. Non parla ovviamente del fatto che i bambini americani ricevono 26 dosi di vaccino entro il primo anno di vita e lascia cadere dall’alto la notizia come fosse sinonimo dei tempi che cambiano.

Ma ecco il capolavoro:

“Se lasciate perdere per un attimo quello che vi hanno detto i pediatri e i -non autistici-, pensate se avessimo fatto i test sbagliati per quantificare l’intelligenza dei bambini affetti da autismo? Vostro figlio non è inferiore agli altri, è diverso, le vostre aspettative su di lui col tempo potranno cambiare, potrà sposarsi, avere figli, o forse no, ma se lasciamo che sia il mondo a decidere le sue aspettative, saranno certamente scarse; forse vostro figlio può fare più di ciò che sappiamo e forse non sa come dircelo, o forse siamo noi che non abbiamo imparato ad ascoltare”

Poi il padre del ragazzo vede la bambina dell’esorcista (ormai donna) al computer

“Quella è mia figlia, dice il medico, è per lei che ho aperto il centro, ha smesso di parlare 30 anni fa e comunica con un computer che parla al posto suo. Il tutto donato da privati molto generosi” (il contabile ndr).

“Ma quello è un computer a 32 processori positronici con lame rotanti, fiamma di megalopoli e goldrake incorporato”

“E’ un buon computer?”

“Scherza? Con quello entra ed esce dal pentagono”

Chi pensava bastasse un hacker con un portatile evidentemente non ha capito niente, e così abbiamo scoperto che l’amica misteriosa del contabile è l’indemoniata vista all’inizio.

Benvenuti nel “Mondo Nuovo”

Cronache della Non Vita

Titolo: Half Life

Anno: 1986

Regia: Dennis O’Rourke

Durata: 86 minuti circa

Half Life… Una mezza vita, una vita invisibile, una non vita, un contratto che non hai firmato perchè qualcuno, come quei moderni personaggi eterei dei call center ha raccolto un tuo “si” casuale a una stupida domandina innocente; e questo mediocre e sottopagato servo del sistema ne ha approfittato per considerarlo un assenso. E’ così che ti sei ritrovato firmatario di un contratto che non volevi; e adesso, se provi a protestare ci sono pure le clausole, finisci tu nelle rogne perchè lui, quello invisibile è addestrato a farti le domande trabocchetto e nessuno è mai responsabile tranne te.

Già, ma qui non stiamo parlando di call center e di contratti truffa; quello di cui parliamo è un contratto che ti garantisce una non vita. Ma non soltanto a te. Pagheranno i tuoi figli e i figli dei tuoi figli, per tutte le generazioni a venire; da questo contratto di dolore e sofferenza non c’è scampo; si sono presi la tua vita e quelle che verranno. Questo è l’allucinante messaggio che state per vedere.

Half Life è un documentario del 1986 e si tratta di un’opera sconvolgente anche se estremamente interessante sotto molteplici punti di vista.

Si potrebbe dire innanzitutto che dovrebbe essere visionato e studiato nelle scuole per mostrare ad esempio, che non c’è alcuna differenza tra gli atroci e inumani esperimenti degli scienziati nazisti e quelli compiuti dagli scienziati presentati in questo film, che sono americani; si, loro, quelli che hanno fatto credere al mondo intero di essere i buoni, quelli della cavalleria e della democrazia. Certo non si fa di tutta l’erba un fascio ma ben pochi si sono resi conto del perchè abbiamo nelle nostre menti impressa una certa immagine dell’america; pochi capiscono il potere della persuasione occulta ed è per questo che andrebbero ristabiliti gli equilibri. Bisognerebbe mostrare questo film per sollevare il velo della propaganda che ci ottenebra la mente e scoprire così che i gerarchi della politica americana sono tanto simili nei comportamenti ai loro antagonisti tedeschi che non esiste una linea netta di demarcazione, e che la loro ideologia camuffata da democrazia ha in realtà un solo nome: fascismo.

Half life è un film importante perchè mostra il vero volto dell’america ma anche perchè presenta al pubblico molti filmati originali dove si può vedere all’opera la macchina della propaganda; ma di cosa parla esattamente? Di una storia invisibile, mai salita in tutta la sua terribile verità alla ribalta delle cronache; una storia che inizia dopo la seconda guerra mondiale. Le isole Marshall furono conquistate ai giapponesi durante la guerra; sulle loro spiagge vivono delle popolazioni indigene assolutamente pacifiche e dopo il conflitto, le nazioni unite, misero queste isole sotto la protezione degli Stati Uniti che avrebbero dovuto garantire a queste persone sicurezza, libertà e assistenza di ogni genere.

Gli americani però interpretarono il mandato a modo loro iniziando a sperimentare sugli atolli le bombe atomiche. Il nome Bikini vi ricorda nulla? Beh i test atomici sull’atollo più famoso del mondo che venne sfollato grazie a un “si” estorto con l’inganno ai loro legittimi abitanti; gente tanto ingenua quanto disponibile e cordiale che garantì sempre la massima collaborazione (altro che call center, qui c’è da vedere i filmati originali per rendersi conto dell’ipocrisia americana), sono abbastanza noti.

Ciò che probabilmente è molto meno conosciuto è quanto successe nei successivi test e in particolare quando gli americani decisero di sperimentare la nuova potentissima bomba all’idrogeno che faceva impallidire per potenza e pericolosità tutte le precedenti versioni dell’atomica. In quell’occasione, il documentario dimostra come in modo del tutto consapevole e deliberato, il governo degli stati uniti e tutto l’apparato militare e scientifico coinvolto ha utilizzato quelle isole come laboratorio per studiare gli effetti della radioattività sul corpo umano a lungo termine. La bomba che fu fatta esplodere provocò una ricaduta radioattiva su tutte le isole lontane dal sito dell’esplosione e che in teoria non avrebbero dovuto essere interessate dagli effetti di questo test. Purtroppo, e non fu un caso, in quel particolare momento soffiavano dei venti che aiutarono la dispersione e il fallout nucleare in tutte quelle isole che avrebbero dovuto restare immuni. La situazione era ben conosciuta dal servizio meteorologico ma non si fece nulla per avvertire la gente ne per portarla in salvo. Cavie umane inconsapevoli; donne e bambini il cui destino e quello di tutte le loro generazioni future fu deciso in un attimo, con azioni e pensieri freddi e calcolati. Lo stesso personale americano con operatori radio che avevano base in una delle isole lontane che fu interessata dall’evento non fu avvisato.

A scuola e in tv spesso ci viene esibito un mostro; come ad esempio: Josef Rudolf Mengele (l’angelo della morte), colui che faceva esperimenti atroci sui bambini durante il regime nazista; noi ascoltiamo con orrore quelle storie consolandoci nello stesso tempo perchè quando la gente ha un mostro da additare prova sollievo; si sente più buona. Ma quanti mengele hanno agito nella storia proteggendosi dietro un distintivo che li classificava come i buoni? Non siamo forse tutti dei mengele? Anche se non agiamo direttamente; ci basta voltare la testa dall’altra parte, ci basta dire: “non voglio sapere per vivere meglio”. E in questo modo permettiamo ai mostri di continuare ad agire indisturbati.

Il film è importante anche dal punto di vista della propaganda; i filmati d’epoca presentati sono assolutamente imperdibili e vanno compresi se si vuole capire il nostro presente. Ciò che emerge da questo film e che andrebbe mostrato e analizzato in ogni scuola è il modus operandi, la filosofia di pensiero che sta dietro al sistema in cui tutti viviamo. Non si tratta semplicemente di dire se gli americani sono cattivi e non buoni o se gli uni sono peggio degli altri. Si tratta di comprendere un “sistema” che ci coinvolge tutti, nessuno escluso. Purtroppo il film è un po’ lento, la narrazione arranca un pochino, non è certo come quei documentari di oggi che assomigliano più a film d’azione che a veri documentari. Ma è assolutamente imperdibile per il valore storico e anche di informazione che contiene e veicola.

Buona visione.

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