I tedeschi erano per tutti dei diavoli; unni feroci assestati di sangue che bevevano nei teschi delle loro vittime, infilzavano i bambini con le baionette e commettevano ogni genere di atrocità e crudeltà che mente umana potesse concepire. D’altra parte è vero che il nazionalsocialismo coinvolse un’intera nazione ma è anche vero che non tutti i tedeschi erano nazisti. La propaganda si sa, tende ad annullare le differenze e in questo caso era necessario odiare un intero popolo e desiderarne l’estinzione; in fondo anche i nazisti volevano cancellare un popolo dalla faccia della terra e sottomettere tutti gli altri. Ciò che i film di Hollywood non ci hanno raccontato è che per i soldati tedeschi, gli alleati erano allo stesso modo autentici demoni, bestie feroci e senza pietà, specialmente i piloti dei bombardieri che incessantemente scaricavano tonnellate di morte sopra la Germania senza preoccuparsi se quelle bombe finivano, oltre che sulle industrie, anche negli ospedali, nelle scuole e sui centri abitati. Una mattanza quotidiana che provocava perdite inutili e disastrose da ambo le parti. Durante la seconda guerra mondiale poi, non avevano nemmeno la scusa delle bombe intelligenti, che pur esistendo in epoca moderna provocano sempre milionate di morti tra i civili come ha insegnato il conflitto Irakeno. In ogni guerra il nemico non è soltanto quello che sta dall’altra parte della strada, è la rappresentazione stessa del male ed è utile per assolvere le anime di chi lo affronta. Come si potrebbe altrimenti uccidere un proprio simile se si pensasse anche soltanto per un minuto che è uguale a te, vive le tue stesse problematiche, condivide le tue stesse preoccupazioni, i tuoi stessi dubbi… Si pone le tue stesse domande, ama i suoi figli, la sua compagna… I primi americani che videro un soldato tedesco morto da vicino, rimasero sconvolti nel leggere che sulla fibbia della cintura era scritto: “Dio è con noi”… Come era possibile? Non erano figli di satana? In guerra non si affrontano mai uomini, soltanto bestie feroci, e nel caso non bastasse c’è sempre la bandiera e il patriottismo da preservare anche se, come disse qualcuno, si tratta dell’ultimo rifugio dei vigliacchi e dei mediocri.
Charlie Brown quel giorno di dicembre del 1943 non si stava trascinando dietro la sua copertina rassicurante, e non aveva nemmeno snoopy ad aspettarlo sul tetto della sua casetta mentre sognava di impersonare il Barone Rosso.
No, quel giorno Charles “Charlie” Brown aveva ventuno anni ed era al comando di un bombardiere B17 (una fortezza volante) che stava decollando dall’aeroporto di Kimbolton situato in Gran Bretagna per la sua prima missione. Il secondo tenente Charlie Brown aveva sotto alla sua responsabilità nove uomini di equipaggio e dato che era un novellino con un’ampia dose di probabilità che quella fosse la sua prima e ultima operazione militare, gli venne assegnata la posizione più pericolosa nella grande formazione di bombardieri che si stava dirigendo verso Brema. La posizione chiamata: Purple Heart Corner (L’angolo della Purple Heart Ndr), dal nome della decorazione che viene assegnata a chi viene ferito o cade in battaglia; decisamente un augurio rassicurante per un ragazzo di 21 anni che si stava affacciando alla vita e che in quel momento doveva certamente conoscere il significato della paura.
Le perdite tra i bombardieri americani erano sempre più drammatiche ma i bombardamenti si intensificavano mandando allo sbaraglio piloti sempre più giovani e inesperti; dall’altro lato del fronte nemmeno i tedeschi potevano stare allegri, le vittime di queste incursioni erano incalcolabili e Amburgo era stata praticamente incenerita. La propaganda infuriava da ambo le parti e per i tedeschi, i piloti americani erano simili ai cavalieri dell’apocalisse; non abbattere un bombardiere era considerato alto tradimento.
La fortezza volante di Charlie Brown, carica di bombe e battezzata “Ye Olde Pub”, venne colpita dalla contraerea prima di raggiungere il suo obiettivo; ci furono squarci sulla fusoliera, un motore perse potenza, un altro si mise a funzionare male ma il B17 era un aereo robusto, progettato per resistere; Brown non si perse d’animo e riuscì a portare il bombardiere sopra al suo bersaglio sganciando il suo carico mortale. Il problema era tutt’altro che risolto, il pesante quadrimotore era danneggiato, i motori non garantivano più la piena potenza e questo significava non riuscire a rimanere nel gruppo con gli altri bombardieri che si difendevano a vicenda. Lo “Ye Olde Pub” rimase indietro e si trovò isolato e questa eventualità era ben conosciuta da tutti gli aviatori perché aveva un unico significato: quello di trovarsi come un animale ferito lontano dal branco, vittima sacrificale dei predatori in agguato. Le probabilità di tornare indietro sani e salvi si erano improvvisamente azzerate con la consapevolezza di tutto l’equipaggio.
E infatti i caccia tedeschi non tardarono ad arrivare; i potenti Messerschmitt Bf 109 si avventarono come falchi affamati sulla preda. L’attacco durò 10 interminabili minuti in cui il B17 tentò di difendersi riuscendo a danneggiare due caccia ma venne squarciato in più punti, il timone di coda devastato, l’impianto dell’ossigeno distrutto così come quello idraulico ed elettrico. Anche il terzo motore venne pesantemente danneggiato; sei uomini vennero feriti più o meno gravemente e un ragazzo, il mitragliere di coda, sergente Hugh “Ecky” Eckenrode venne ucciso dalle raffiche dei caccia. Senza più ossigeno Charlie Brown perse conoscenza e il bombardiere, senza più controllo iniziò a precipitare in picchiata. Soddisfatti, i falchi abbandonarono la caccia e si allontanarono.
Forse Charlie Brown sognava la sua coperta ad accarezzargli la guancia, o forse sognava il suo cane che lo guardava spesso con sguardi indecifrabili… O forse, sognava semplicemente di essere a casa, incontrare una ragazza, farci l’amore, ballare… A 3000 metri di altitudine riprese conoscenza; l’aria entrava prepotente dagli squarci del bombardiere, il suolo si stava avvicinando troppo velocemente, i comandi non rispondevano, c’era un solo motore completamente efficiente e lo schianto sembrava ormai inevitabile. Forse con l’aiuto di una preghiera, forse con la sola forza della disperazione, tirò a sé la Cloche in uno sforzo sovraumano; diede una botta al copilota per svegliarlo e in qualche modo, forse per un miracolo, riuscì a raddrizzare l’assetto dell’aereo a 600 metri dal suolo. Non era finita, stavano ancora sul suolo tedesco; prima di arrivare al mare c’era lo sbarramento dell’antiaerea a guardia delle coste e dopo, due ore di volo sulle gelide acque del mare del nord. Charlie Brown chiese ai suoi uomini se desideravano lanciarsi con il paracadute, lui avrebbe tentato di riportare l’aereo a casa… Tutti sapevano che probabilmente non ce l’avrebbero fatta, ma molti erano feriti e malconci… Alla fine nessuno si lanciò.
Il tenente Franz Stigler, 28 anni, era un autentico asso della Luftwaffe; da sempre appassionato di volo era diventato pilota civile per la Lufthansa prima di arruolarsi come pilota di caccia. Suo fratello, anche lui pilota, aveva perso la vita durante la terribile battaglia aerea d’Inghilterra e Franz, voleva onorare la memoria del fratello conquistando la prestigiosa medaglia chiamata “La croce del cavaliere”. Gli mancava una sola vittoria, un solo altro abbattimento per ottenerla. Franz Stigler non si era mai iscritto al partito nazista.
Stigler era appena atterrato all’aereoporto di Jever, doveva rifornire e riarmare il suo aereo che aveva preso un colpo nel radiatore. Mentre è in attesa, fumandosi una sigaretta, avverte, assieme ai meccanici e al personale dell’aereoporto un rombo sordo in rapido avvicinamento. All’improvviso e sotto agli sguardi stupiti e increduli di tutti, il B17 di Charlie Brown spunta da sopra le cime degli alberi sorvolando l’aereoporto e trascinandosi dietro le scie di fumo e olio dai motori danneggiati nel disperato tentativo di riprendere quota.
Stigler corre verso il suo BF 109, mette in moto e decolla senza pensarci due volte. Bertrand “ Frenchy” Coulombe che prendeva posto nella torretta difensiva sopra la fusoliera del B17 fu il primo ad avvistare il caccia tedesco in rapido avvicinamento; tentò di avvisare il comandante ma la radio non funzionava. Stigler davanti a sé vedeva l’agognata croce del Cavaliere e si preparava a conquistare l’ambito premio. La sua formazione era avvenuta in Africa nel JG 27, (il ventisettesimo stormo caccia), un reparto di veri assi dell’aviazione che avevano un loro codice d’onore: rispetta le regole, rispetta te stesso, rispetta il nemico, mantieni la tua umanità, risparmia chi è indifeso. L’allora suo comandante di stormo, il tenente Gustav Roedel, glielo aveva detto senza mezzi termini: “Se spari a chi si è lanciato con il paracadute, o se sento dire che lo hai fatto, io sparo a te”.
Stigler si portò in coda al B17, il dito sul grilletto pronto a fare fuoco ma stranamente, nessuna reazione dal bombardiere; il mitragliere di coda non stava sparando. Avvicinandosi, Franz Stigler capi perché; vide Ecky Eckenrode inerme e coperto di sangue. Allora decise di affiancare il bombardiere e impallidì nel vedere i gravi danni che aveva subito. Attraverso gli squarci nella fusoliera vedeva alcuni uomini che tentavano di prestare soccorso ai feriti, era un miracolo che quell’ammasso di ferro martoriato fosse ancora in volo. Stigler tolse il dito dal grilletto e si posiziono a fianco del B17, vicino alla cabina di pilotaggio.
Charlie Brown lo vide all’improvviso spaventandosi a morte; il pilota tedesco gesticolava tentando di comunicare qualcosa, faceva cenni con le mani indicando all’aereo di scendere. Tentava di dirgli che non potavano farcela in quelle condizioni; erano nelle vicinanze della neutrale Svezia, li avrebbero potuto ricevere cure. Stigler indicava la direzione ma Charlie Brown non capiva, voleva raggiungere il mare. Stigler prese atto delle intenzioni dell’americano e sapeva che in pochi secondi si sarebbero trovati sopra la contraerea costiera; si avvicinò il più possibile al bombardiere e lo scortò.
Il comandante della batteria contraerea costiera vide il B17 avvicinarsi con al suo fianco un BF 109 e probabilmente si chiese cosa diavolo stesse succedendo. Certo non poteva rischiare di abbattere un suo aereoplano e ordinò alle batterie di non aprire il fuoco. Giunti sul mare sani e salvi, Stigler fece ancora un tentativo per indicare la Svezia ai piloti Americani… Ci fu un lungo sguardo tra lui e Charlie Brown.
Franz Stigler salutò i piloti, invertì la rotta e tornò a casa mentre diceva: “Ora siete nelle mani di Dio”
Charlie Brown e il suo equipaggio rientrarono in territorio alleato e si salvarono tutti ad eccezione di Hugh “Ecky” Eckenrode. Quando fece rapporto, a Bown fu ordinato di mantenere il silenzio e di non farne parola con nessuno; alla propaganda non faceva bene un gesto di umanità da parte di un Tedesco. Secondo il comando alleato nulla del genere era mai accaduto.
Franz Stigler, nel 1953 emigrò in Canada e iniziò una sua attività e negli anni successivi Charlie Brown si chiese se la sua avventura fu soltanto partorita da un sogno. Nel 1986, ricordò l’episodio ad un evento dedicato ai piloti militari chiamato “Gathering of the Eagles” presso l’Air Command and Staff College di Maxwell in Alabama. La commozione nel raccontare quell’evento lo convinse che avrebbe dovuto ritrovare quel pilota tedesco e ringraziarlo di persona.
Lo rintracciò dopo 4 anni di ricerche, nel 1990 e tra i due nacque una profonda amicizia che terminò soltanto per la morte dei due, avvenuta a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro nel 2008.
Charlie Brown e Franz Stigler, due uomini che né la propaganda né l’odio, né la paura, hanno saputo corrompere.
Nel 2022, un appassionato di computer grafica realizza un emozionante cortometraggio che ricostruisce la vicenda. Potete vederlo qui: