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Alieni in mezzo a noi

UFO (id – 1970)

  • genere: Fantascienza
  • regia: Jerry Anderson e registi vari
  • interpreti: Ed Bishop, Michael Billington, George Sewell, Gabriel Drake, Wanda Vetham
  • produzione: Century 21 & ITC


GIUDIZIO: Da non perdere

In due parole

Serie di Culto che all’epoca terrorizzò e coinvolse più di una generazione. Piena di invenzioni visive e narrative originali dimostra una volta di più la grande creatività degli anni 60/70 quando la televisione era concepita diversamente da oggi

Recensione

Non si tratta di idealizzare il passato; che negli anni 60 siano state create delle serie televisive innovative, di spessore, e sopratutto di gran lunga superiori alla media della moderna produzione televisiva perché non vincolate a schemi e stereotipi imposti è un dato di fatto. In quegli anni di cervelli turbolenti ancora si inventava e c’era sicuramente maggiore libertà di azione. La Gran Bretagna poi era decisamente all’avanguardia rispetto agli Stati Uniti che vantavano un tabù a ogni angolo ed erano decisamente più conformisti.

Una delle serie destinate a diventare un vero “Cult” in Europa e che non ebbe il successo sperato oltreoceano tanto da vedersi cancellata l’opportunità di una seconda serie, nasce tra il 1969 e il 1970 dalla fervida immaginazione dei coniugi Jerry & Sylvia Anderson che avevano raggiunto una certa popolarità producendo svariate serie televisive per ragazzi di genere fantascientifico caratterizzate dalla presenza di marionette e di ottimi effetti speciali. Ricordiamo tra le più famose: “Captain Scarlet and the Mysterons”1 e “Thunderbirds”.2

Il successo e la credibilità acquisita permisero ai coniugi Anderson di cimentarsi in un ambizioso film di fantascienza che si rivelerà però un fiasco: “Doppia immagine nello spazio”3 scritto dalla coppia e affidato alla regia di Robert Parrish.4 L’esperienza per quanto negativa galvanizzò Jerry Anderson che, riciclando i materiali di scena di questa pellicola, decise di produrre una nuova serie televisiva cimentandosi per la prima volta nella regia e nella produzione di una serie con attori in carne ed ossa.

Con un team vincente e collaudato che annoverava tra le sue fila straordinari artigiani e artisti come Derek Meddings, il curatore degli effetti speciali e progettista dei mezzi che decretarono il successo delle serie precedenti, i coniugi Anderson partorirono così: UFO, serie in 26 episodi che esplose nel mercato britannico, europeo e giapponese come una bomba.

La rai italiana la programmò nel 1971 (ma non vennero trasmessi tutti e 26 gli episodi) destinandola ad una fascia oraria dedicata ai ragazzi ma ben presto la serie conquistò gli adulti e spaventò a morte i ragazzini.

Per l’epoca in cui uscì, UFO fu una vera rivoluzione; conteneva caratteristiche del tutto estranee a qualsiasi altra serie dell’epoca: era intriso di un velato erotismo che traspariva in svariate scene e nelle divise delle protagoniste femminili, mostrava una libertà sessuale e una parità nei ruoli di comando e di azione, conteneva una violenza dai toni forti anche se mai esplicitata. Era pervaso da una suspense e una tensione che colpirono l’immaginario del pubblico. Anderson non voleva puntare tutto sugli effetti speciali anche se per l’epoca quelli realizzati per la serie furono considerati molto innovativi, ma puntava a storie di spessore dove i personaggi avessero più importanza. Gli argomenti trattati: rapimenti alieni, trapianti di organi, psicologia, controllo mentale, percezione extrasensoriale, conferirono agli episodi un’inquietante vena di mistero e orrore.

Purtroppo la serie non sfondò negli stati uniti, mercato considerato come un punto di riferimento per ottenere finanziamenti e per decretare il successo di un prodotto anche se Britannico. I produttori statunitensi non fecero certo del loro meglio per promuoverla considerandola non adatta al pubblico americano e dai toni troppo forti e introspettivi. Anderson si apprestava già a produrre la seconda serie che avrebbe voluto ambientare sulla luna in una base molto più grande di quella vista nella prima serie quando arrivò lo stop degli americani. Alcuni anni dopo, dalle ceneri della seconda serie, i coniugi Anderson riusciranno a far approvare una nuova avventura fantascientifica che diventerà: Spazio 1999.5

UFO è ambientato in un futuro non troppo lontano (i titoli di testa mostrano spesso la data: 1980 e in alcuni episodi si fa riferimento al 1984) quando per contrastare un’intensa attività aliena sulla terra che rapisce le persone per sottoporle ad esperimenti o per rubarle gli organi, viene creata un’agenzia militare supersegreta denominata: SHADO (Supreme Headquarters Alien Defence Organization). La Shado ha il suo quartier generale sotto agli studi cinematografici Harlington (in realtà i Pinewood Studios dove fu girata) che utilizza come copertura mentre il suo comandante, Ed Straker, si finge un produttore. L’idea degli studi fu utilizzata per risparmiare sulle location e sui set.

La SHADO dispone di tecnologie e mezzi all’avanguardia, come una base permanente sulla luna (che in un episodio viene localizzata nel Mare Imbrium), il SID (Space Intruder Detector) un satellite orbitante in grado di scansionare lo spazio e allertare sull’arrivo dei dischi volanti, dei caccia spaziali denominati “Interceptors” armati con testate atomiche, Una specie di Hoovercraft (i Moon mobile) per spostarsi sulla superfice lunare, sommergibili come lo “Skydiver” in grado di lanciare un aereo (lo Sky One) da sotto la superfice del mare come se fosse un missile e dei blindati cingolati (gli Shado Mobiles) in grado di muoversi su qualsiasi terreno terrestre e di combattere con torrette di cannoni e lanciarazzi.

La Shado dispone inoltre di medici e scienziati che utilizzano spesso farmaci sperimentali e pericolosi per sottrarre informazioni agli alieni o alle persone, per cancellare la memoria di chi ha visto o saputo troppo o per aumentare le prestazioni mentali e fisiche come nell’episodio “Timelash” (Il tempo si è fermato).

Gli alieni, caso abbastanza unico nella fantascienza, non si sa da dove provengano nonostante i tentativi di identificare il loro punto di origine, né sono chiari i loro scopi. Si presume in alcuni episodi che il loro pianeta sia morente e la loro razza sull’orlo dell’estinzione per questo utilizzerebbero i trapianti d’organi umani. Sono infatti simili all’uomo, viaggiano all’interno di un disco volante in grado di coprire distanze siderali armato con un raggio distruttore e vestono delle tute spaziali contenenti un liquido verde (che viene respirato) che colora la pelle e che serve presumibilmente per mettere il fisico in grado di sostenere le immense accelerazioni necessarie a coprire le grandi distanze; portano anche delle lenti a contatto opache per proteggere i loro occhi. Questi dischi volanti, una volta penetrati nell’atmosfera terrestre vi possono sostare soltanto per 48 ore dopodichè si disintegrano.

Il rumore emesso dai dischi volanti che diventerà un vero e proprio tormentone in grado di far nascere un senso di inquietudine nello spettatore fu realizzato dal compositore della colonna sonora Barry Gray utilizzando un sintetizzatore.

Nel cast troviamo Ed Bishop (il comandante Straker) un attore di teatro inglese trasferitosi negli Stati Uniti che partecipò a due film di Kubrick (Lolita e 2001 odissea nello spazio, in quest’ultimo molte delle sue scene furono tagliate assieme alle molte di dialogo presenti originariamente nel film) e comparve anche in alcuni film della serie 007 (Si vive solo due volte e Una cascata di diamanti). Rimarrà impresso nella cultura popolare diventando un oggetto di culto il parrucchino biondo utilizzato nel telefilm. C’è poi Michael Billington (Colonnello Foster) il suo braccio destro che comparve anch’esso in un film di 007 (La spia che mi amava) e che fu proposto tra i tanti al ruolo dell’agente segreto James Bond. Abbiamo poi molti altri caratteristi che si possono ammirare in molti film dell’epoca tra cui Lois Maxwell (La moneypenny di 007 che ricopre qui un ruolo simile), George Sewell (Colonnello Alec Freeman), Gabrielle Drake (Tenente Gay Ellis), Wanda Ventham (Colonnello Virginia Lake), Vladek Sheybal (Dott. Doug Jackson)

Una menzione particolare va fatta al creatore degli effetti speciali e abilissimo costruttore di modellini: Derek Meddings. Uno straordinario artista che utilizzando in tutta la sua carriera tecniche artigianali inventate agli albori del cinema, come ad esempio quella di riavvolgere la pellicola e sovraesporla più volte con vari elementi o di utilizzare modelli in scala progettati e costruiti da lui stesso, si guadagnò il rispetto delle grandi produzioni cinematografiche. Si può ammirare il suo ultimo, straordinario lavoro nel film: 007 Goldeneye6 uscito già in era digitale ma che non sfigura affatto confrontato con altri film in cui oltre al digitale si utilizzava già da anni il matte processing creato per guerre stellari.

Meddings raggiunse livelli sublimi utilizzando i trucchi più semplici e si guadagnò una candidatura all’oscar per gli effetti speciali di 007 Moonraker.7

Infine è giusto ricordare la moglie dell’ideatore della serie, Sylvia Anderson che cimentandosi come costumista ideò e disegnò gli abiti civili dei personaggi che anche se non andarono mai in voga, rimangono ancora oggi di notevole bellezza conservando un carattere futuribile.

La serie mostrò varie innovazioni tecnologiche che in quell’epoca non erano ancora conosciute o diffuse su larga scala, eccone alcune:

  • Telefono per auto
  • Aria condizionata per auto
  • Cercapersone
  • Telefono cordless
  • Porte ad ali di gabbiano
  • Mezzo spaziale lanciato da un aereo anche se sperimentale
  • Uso massiccio del computer nella ricerca scientifica e nelle applicazioni mediche e militari
  • Identificazione vocale
  • Satelliti-spia.
  • Convertiplano (come l’attualmente in uso dai Marines Osprey)
  • Reti telematiche interfacciate tra loro

In Italia, sull’onda del successo dei telefilm, tra il 1973 e il 1974 furono realizzati 5 film montando tra loro vari episodi che permisero al pubblico di ammirare la serie a colori dato che la Rai trasmetteva ancora in bianco e nero. Una delle case produttrici che ne realizzo tre, utilizzò a commento le musiche dei film di 007 (in particolare dalla russia con amore e una cascata di diamanti) sostituendole con quelle originali di Barry Gray. Su varie biografie si legge che ciò fu un errore commesso per l’assonanza del nome del compositore (John Barry – Barry Gray) ma dubitiamo fortemente che questo corrisponda a verità perché le colonne sonore dei film di James Bond erano piuttosto famose e conosciute e non è inoltre pensabile che vengano acquistati dei telefilm senza le loro musiche originali o che si possa commettere poi un errore simile dovendo aggiungere la musica in un secondo tempo senza avere dei prontuari dei pezzi e di dove andavano sistemati. Se dovesse capitarvi di vedere il film: “UFO… Annientate SHADO… Uccidete Straker…Stop” potrete ascoltare l’utilizzo delle musiche di James Bond, inserite con perizia nei momenti giusti e scelte con cura tanto da far pensare allo sprovveduto ascoltatore che siano state scritte appositamente da quanto si adattano bene.

Dal 2007 si sono diffuse voci, poi confermate, circa la decisione del produttore Robert Evans di girare un film intitolato UFO e ispirato alla serie. Successivamente è stato messo in rete anche il sito ufficiale del film, che prevedeva l’uscita nel 2012; il progetto in seguito è slittato al 2014. La regia è stata affidata a Matthew Grazner8

Non ci resta che consigliarvi, per chi ancora non la conoscesse, la riscoperta di questa serie diventata negli anni un vero Cult che vanta ancora oggi associazioni di fans (tra cui una italiana che aveva come presidente e vicepresidente proprio Ed Bishop e Michael Billington) e un notevole merchandising ricercatissimo tra i giocattoli d’epoca prodotti dalla Dinky Toys e quelli attuali prodotti dalla giapponese Konami

La Sigla Iniziale del Telefilm diventata Iconica.
  1. http://www.imdb.com/title/tt0059973/ ↩︎
  2. http://www.imdb.com/title/tt0057790/ ↩︎
  3. http://www.imdb.com/title/tt0064519/ ↩︎
  4. http://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Parrish ↩︎
  5. http://www.imdb.com/title/tt0072564/ ↩︎
  6. http://www.imdb.com/title/tt0113189/ ↩︎
  7. http://www.imdb.com/title/tt0079574/ ↩︎
  8. http://ufo-themovie.com/shado/ ↩︎

Locke (id – 2013)

  • genere: Drammatico
  • regia: Steven Knight
  • interpreti: Tom Hardy, Olivia Colman, Ruth Wilson, Andrew Scott, Tom Holland
  • produzione: IM Global
  • giudizio: Imperdibile

In due parole

Potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravivaci… Ma noi siamo cinema, non rincoglionimento. Ecco una lezione da sbattere in faccia a tanti… Ma non solo… C’è perfino di più…

Recensione

E’ possibile realizzare un film che regga 89 minuti con un singolo attore e in una singola location (l’abitacolo di un’auto)?

Con una sceneggiatura solida, un attore di talento e un regista non meno bravo si; e finalmente si parla di cinema con le maiuscole.

C’è molta carne al fuoco in questa pellicola ma andiamo con ordine:

Locke è un uomo di successo, ha raggiunto una solida posizione professionale e una soddisfacente vita privata con una famiglia stabile. Alla vigilia della più grande sfida della sua carriera, una telefonata provocherà il crollo di un’intera esistenza. La tragedia di un uomo vissuta in tempo reale nell’arco di una notte in cui il suo universo inizia ad andare in pezzi durante un viaggio.

Il film è letteralmente un “One Man Show”, basato sulla straordinaria performance di Tom Hardy (l’anonimo Bane del terzo Batman di Nolan) che riesce a fornire una prova attoriale che definire magnifica è un eufemismo (il resto del cast sono voci al telefono); l’attore ha il pieno controllo della sua interpretazione, gioca di sottrazione, smorza le reazioni emotive e trasmette con incredibile efficacia tutto ciò che l’universo rappresentato da un essere umano sta subendo su molteplici livelli.

Nonostante le limitazioni pesantissime di movimento e quindi fisicità , la vicenda si svolge interamente alla guida di un’auto attraverso una serie di telefonate al cellulare, non c’è un’inquadratura di Hardy che non regga la scena. La sceneggiatura costruita con grande sapienza, una regia attenta, studiata minuziosamente nelle angolature e l’eccellenza interpretatriva di questo straordinario attore tengono incollati allo schermo per tutta la durata del film.

Tecnicamente, a voler essere pignoli, qualche forzatura c’è: i momenti in cui Locke dialoga allo specchietto retrovisore con la presenza immaginaria del defunto padre, necessari per comprendere il passato e le motivazioni dell’uomo, assumono un registro “teatrale” che può suonare un pò stonato nel contesto degli altri eventi. Ma sono appunto pignolerie, ce ne fossero in abbondanza di film con questi difetti e avremmo risolto il problema di tanto piattume.

Locke quindi è un film che funziona sotto molteplici aspetti: registico, tecnico, narrativo e attoriale; dimostrando che non servono grandi finanziamenti per realizzare un prodotto elitario che vola a quote più alte di molti colleghi anche autorevoli, ma è anche molto più di questo come dicevo in apertura.

Non si tratta di un puro esercizio di stile perchè altrimenti si sarebbe scaduti nel manierismo. Oltre a tutto ciò di cui ho parlato, c’è la volontà di trasmettere un concetto assai profondo che però, almeno a livello razionale, è sfuggito alla maggior parte della critica che pure ha lodato il film limitandosi però agli aspetti da me già citati.

Sto parlando di ciò che emerge e che rimane alla fine di questa storia. Un concetto che appartiene probabilmente della volontà del regista Steven Knight; il quale riesce a trasmettere una profonda lezione morale senza scadere nel moralismo d’accatto, evitando accuratamente le trappole degli stereotipi narrativi e dei predicozzi pedagogici ed esplicativi per il pubblico “semplice”.

Locke infatti, e questa mi sembra la cosa più rilevante che giganteggia su tutto il resto, è un film che parla della necessità, oggi, di recuperare ognuno il senso della responsabilità. Parla della fondamentale importanza di assumersi il peso delle proprie scelte e dei propri errori; di capire le implicazioni delle proprie azioni. In quest’epoca dove la cultura della “delega” ci è stata inoculata fin dalle fondamenta per endovenosa in ogni aspetto della nostra vita compresa la cura dei nostri figli, Locke è un rarissimo esempio di cinema che lancia un messaggio importante perchè non annacquato da ideologie che siano dirette, trasversali o distorte.

Locke è un film etico e morale senza scadere come abbiamo detto nel moralismo, è avvincente come un thriller e non offre risposte facili o ricette pronte per nessuno. Locke è un uomo consapevole del proprio passato che decide di fare la cosa giusta anche se questo significa disintegrare la sua vita. Ma lo fa perchè è consapevole che altrimenti la disintegrazione riguarderebbe la sua anima obbligandolo a vivere in un nuovo universo di menzogne e opportunismo, non meno distruttivo e sicuramente più orrendo di ciò a cui sta andando incontro.

Si tratta di un film che va ripescato e rivalutato anche alla luce di quello che è successo negli ultimi 3 anni.

Questa la realtà che emerge senza spiegazioni didascaliche, il valore aggiunto del film, e scusate se è poco.

Oltre l’incubo di Orwell

Il Prigioniero (The Prisoner – 1967)

  • genere: Fantapolitica
  • regia: Registi Vari
  • interpreti: Patrick McGoohan, Angelo Muscat, Peter Swanwick
  • produzione: ITC & Everyman Films
  • giudizio: Da non perdere

In due parole

Una serie incredibile che spazza via tutti i canoni della televisione e dei telefilm dell’epoca trasformandosi in un oggetto di culto che continua a far riflettere e discutere molte persone nel mondo anche al giorno d’oggi

Recensione

“Le domande sono un peso per gli altri, le risposte una prigione per noi stessi”

Il prigioniero viene trasmesso tra il 1967 e il 1968 in Inghilterra diventando immediatamente un “CULT”. Patrick McGoohan, ideatore, produttore e interprete della serie, nonché scrittore e regista di vari episodi sotto pseudonimo, infrange tutti gli schemi del prodotto televisivo dell’epoca creando un incubo Orwelliano pregno di tematiche dal forte impatto sociale, toccando tutta una serie di argomenti che vanno dall’inganno della democrazia fino al controllo mentale, la manipolazione dei sogni, l’uso di droghe allucinogene, il furto dell’identità, l’ipnosi.

La trama è semplice e serve per esporre tutte le tematiche care a McGoohan: il protagonista è un agente segreto in possesso di informazioni vitali; dopo aver rassegnato le dimissioni (sequenza che vediamo nei titoli di testa) viene narcotizzato e rapito. Si risveglierà nel “Villaggio” un luogo segreto dove vengono portati tutti i dissidenti o i personaggi scomodi. In questo posto è stata creata una società di stampo Orwelliano; ci sono telecamere nascoste ovunque, anche all’interno delle abitazioni. Controllori e guardiani sorvegliano costantemente gli abitanti che vivono in una libertà illusoria. Tale società si organizza con un sistema di votazioni di stampo democratico ma come avviene nella nostra società, in realtà nessuno decide nulla perché i candidati sono comunque sotto controllo del potere oscuro che gestisce questo luogo. Non si può abbandonare il villaggio, le persone non hanno più nomi ma soltanto numeri (il protagonista è il numero 6) e ognuno può essere prelevato da casa sua nel sonno per essere sottoposto ad esperimenti di ogni genere sul controllo mentale e la manipolazione della personalità. A capo del villaggio c’è il numero 2 (che cambia ad ogni episodio sottolineando che anche il dirigente del villaggio è un burattino che esegue degli ordini); scopo del numero 6 che rifiuta di essere assimilato in questo sistema da incubo che quasi tutti però sembrano accettare passivamente e con entusiasmo, è quello di fuggire dal villaggio e di scoprire chi è il numero 1.

Nelle intenzioni di McGoohan lo spettatore deve essere stimolato a riflettere e per questo motivo ogni episodio è pieno di enigmi, di sottotracce, di particolari non rivelati, di frasi e dialoghi a volte criptici e il risultato è che a tutt’oggi si discute su molti aspetti dei vari episodi e ci sono molte interpretazioni filosofiche e sociologiche che ruotano attorno a questa straordinaria serie.

Certo non era facile immaginare nel 1967 che le tematiche trattate da “The Prisoner” sarebbero diventate così attuali realizzandosi in molte delle sue intuizioni. La stessa argomentazione di “Un nuovo ordine mondiale” viene trattata in uno degli episodi quando il numero due rivela al numero 6 che “I blocchi contrapposti” delle grandi potenze non esistono più perché trovano più conveniente collaborare e ci si avvia a un modello di vita globale come quello del “Villaggio”.

Il Villaggio.

Il villaggio non è un set cinematografico; esiste veramente e si chiama: Portmeirion. Fu progettato dall’architetto Sir Clough Williams-Ellis e costruito tra il 1925 e il 1972 nel Galles del Nord. Diventato famoso grazie alla serie del prigioniero è a tutt’oggi meta turistica e di pellegrinaggio; fu anche utilizzato come rifugio da personaggi come: Bertrand Russel e George Bernard Shaw. McGoohan lo trovò perfetto per la serie: apparentemente quieto, bizzarro come un paesaggio di Alice, era il paese dei puffi trasformato in un lager Hi-Tech; un’apparenza idilliaca in cui esiste un microcosmo che genera una moda tutta sua, una moneta chiamata: “Unità di Credito” (sempre la tematica di un potere centralizzato che gestisce tutto, anche la moneta), un linguaggio particolare, un saluto con un cenno della mano (forse ripreso da un antico rituale cristiano).

Le forze oscure che controllano tutto e tutti dispongono di una tecnologia fantascientifica tra cui il “Rover”, una sfera bianca che emette un rumore assordante e semina il panico inseguendo e a volte uccidendo i fuggitivi o i dissidenti.

Oltre a Patrick McGoohan, l’unico altro personaggio sempre presente in ogni episodio è il nano-maggiordomo fedele servitore del numero 2 e interpretato da Angelo Muscat. Questo personaggio rappresenta l’uomo comune che nella società è sempre pronto a servire, eseguire ciecamente gli ordini ed aggregarsi al branco.

Per chi ancora non li avesse visti, raccomandiamo caldamente la riscoperta di questi 17 episodi appartenenti a una delle serie più belle mai prodotte per la televisione.

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